Wall Street aiutò Grecia e Italia a mascherare i debiti per entrare nell’euro

Pubblicato il 14 Febbraio 2010 - 20:26| Aggiornato il 18 Aprile 2020 OLTRE 6 MESI FA

Prodi, Visco e Ciampi tra gli altri festeggiano l'ingresso nell'Euro (Archivio Lapresse)

Se ne occupò anche Financial Times, sempre nel 2001, scrivendo che, anche se nel 1996 l’Italia registrava un deficit di bilancio del 6,5 per cento del Pil, oltre il doppio di quello permesso da Maastricht, “nel 1999, anno del lancio della moneta unica, l’Italia aveva ridotto il deficit al di sotto del 2 per cento”.

Secondo il rapporto pubblicato dal Council on Foreign Relations, il fenomeno avrebbe avuto connotati molto preoccupanti perche rivelatore  della possibilità che altri artifici del genere sarebbero stati messi in atto ai tempi anche da altri paesi. Seguiva una esortazione a vigilare di più sul mercato dei derivati dal momento che “tali abusi potrebbero continuare”.

Prodi fece il diavolo a quattro, disse che erano tutte balle. Berlusconi era tornato al Governo, ma cavalcare lo scandalo non gli conveniva, perché con il cerino in mano sarebbe rimasto lui. Dichiararono ufficialmente sia il Tesoro italiano sia le autorità di Bruxelles che l’operato dell’Italia aveva superato l’esame di Eurostat, cui compete la valutazione dei criteri per il calcolo del debito pubblico dei paesi europei che ne aveva certificato la regolarità.   I giornali non capirono la vicenda. La storia morì lì.

D’altra parte lo facevano anche altri paesi europei. Anche se accordi di questo tipo erano guardati con sospetto negli ambienti governativi, ancora nel 2000 i ministri delle Finanze europei erano incerti e divisi sull’obbligo di dichiarare accordi sui derivati finalizzati a contabilità creativa. E nel 2000 la risposta fu no.

Solo a partire dal 2002 furono rese obbligatorie le informative su certi titoli, tipo quelli usati dai greci, ma il governo greco continuò a non includerli nei suoi bilanci. La cosa non passò inosservata a Eurostat, l’agenzia europea di statistica, che nel 2008 scrisse che “in varie situazioni, le operazioni di securitizzazione messe sogtto osservazione sembra siano state pensate di proposito per conseguire un risultato contabile definito, senza riguardo al valore economico dell’operazione”.

Il New York Times ha fatto tesoro dello studio dell’economista italiano Piga, che ha scritto: «I derivati sono uno strumento finanziario molto utile se usati correttamente». Il giornale sentenzia:  “Giochi contabili di quel tipo possono tornare utili a breve termine, ma nel tempo possono rivelarsi disastrosi”.

Ora la Grecia è in crisi totale e ancora non si sa come andrà a finire e anche per l’Italia il passato ritorna perché il fantasma dei derivati è stato evocato dal caos della Grecia.

Con l’aiuto di JpMorgan, scrive il New York Times, “nonostante elevati deficit persistenti nel 1996, un derivato ha aiutato l’Italia a mettere il bilancio in linea: cambiando valuta con la banca a un tasso favorevole, e portando più disponibilità finanziarie nelle mani del governo. In cambio, l’Italia si era impegnata a rimborsi futuri che non sarebbero stati inseriti come passività”.