Web-tax: “dalla nuvola digitale alla nuvola di Fantozzi”. Renzi svela l’autogol

di Redazione Blitz
Pubblicato il 16 Dicembre 2013 - 13:06| Aggiornato il 17 Dicembre 2013 OLTRE 6 MESI FA
Web-tax: "dalla nuvola digitale alla nuvola di Fantozzi". Renzi svela l'autogol

Web-tax: “dalla nuvola digitale alla nuvola di Fantozzi”. Renzi svela l’autogol

ROMA – Web-tax: “dalla nuvola digitale alla nuvola di Fantozzi”. Renzi svela l’autogol. L’inventore della web-tax, perché questo è il nome al nuovo balzello che si è imposto nel dibattito, si dice esterrefatto dal coro di no e dalle accuse di autogol: per Francesco Boccia dimostrano soltanto “una preoccupante subalternità economica e culturale alle multinazionali americane del web”. Subalternità che alligna però anche nel suo partito visto che il nuovo segretario Matteo Renzi ha stigmatizzato subito gli emendamenti proposti e l’impopolarità di un nuovo tributo che ovviamente si scaricherà sui consumatori di tecnologia online e dirotterà gli investitori stranieri fuori dai confini del Paese, un po’ come successo con il fallimento della Tobin Tax. Gli emendamenti impongono l’obbligo di acquisto di pubblicità da partite Iva italiane e un nuovo metodo di calcolo del reddito da calcolare.

Web tax, o Google tax non spaventa solo i colossi: viola le leggi comunitarie e contraddice gli sforzi dell’Italia per attirare capitali stranieri e lavoro. Battersi per un principio giusto (far pagare le tasse nel luogo dove si produce reddito) significa anche calibrare gli interventi in modo da non pregiudicarne l’esito: al posto di web tax sarebbe stato preferibile introdurre una norma denominata, per esempio, “Tassa su chi vende pubblicità ed evade le tasse” come suggerisce Massimo Sideri sul Corriere della Sera. Forse un nome meno sexy ma più corretto e meno retrivo culturalmente. Sulla giustezza del principio si spende anche l’osservatore dei media Giovanni Valentini che difende le ragioni della tassa e  insiste su Repubblica a proposito

di un’elusione legalizzata, in funzione della quale i ricavi si contano in miliardi di euro e invece le imposte in pochi milioni. Una forma di dumping tecnologico, insomma, che danneggia il commercio, la produzione e l’occupazione Made in Italy: tanto più che i prodotti acquistati su Internet, come anche i servizi o le campagne pubblicitarie, vengono pagati con redditi realizzati sul nostro territorio.

La norma oggetto del dibattito una norma che nasce da un emendamento del Pd, ma che nello stesso partito trova oggi un fuoco di sbarramento. E’ stato il renziano Edoardo Fanucci a dare una forte accelerazione, con un emendamento alla Legge di Stabilità, alla proposta già lanciata in un Ddl dal lettiano Francesco Boccia. Ma l’idea non piace a Matteo Renzi, che all’assemblea che lo ha proclamato segretario del Pd dice: nel digitale “siamo passati dalla nuvola digitale alla nuvola nera di Fantozzi”, i temi “della web tax vanno posti in Europa” altrimenti “rischiamo di dare l’immagine di un paese che rifiuta l’innovazione”.

Tesi rilanciata da quattro parlamentari renziani: “All’economia non servono feticci che sulla tecnologia chiudono l’Italia in un recinto rispetto al resto dell’Europa”. Ma anche il lettiano Marco Meloni chiede che “il Parlamento elimini la tassa” ed “il Pd sia unito sul piano digitale del governo”. La Web Tax non piace anche a Scelta Civica: la norma “è palesemente illegittima” dice Gianfranco Librandi. Mentre da Forza Italia la portavoce Mara Carfagna attacca: “Saranno pure giovani, avranno rottamato la vecchia classe dirigente col colbacco ma le idee, quelle sullo sviluppo e la crescita economica, sono sempre le stesse: tasse, tasse, tasse. Di nuove nel Pd di Renzi ci sono solo le facce, il resto è roba vecchia”.

Intanto alzano la voce anche le aziende statunitensi che operano in Italia: “Gli ispiratori della Web Tax dovrebbero riflettere sul danno d’immagine per l’Italia provocato da questo provvedimento agli occhi della comunità internazionale”, avverte l’American Chamber of Commerce in Italy: rappresenta , dice il consigliere delegato, Simone Crolla, “l’ennesima dimostrazione di autoreferenzialità ed arroccamento del ceto politico italiano, che non consente l’apertura di un serio ed approfondito dialogo su questa materia, delicata e strategica per il futuro”. Inoltre, per AmCham Italy “l’incompatibilità di questi emendamenti rispetto alle normative europee esporrà l’Italia ad una possibile procedura d’infrazione”.