Claudio Descalzi, lettera ai giornali su Eni e Basilicata

di Redazione Blitz
Pubblicato il 27 Aprile 2016 - 12:29 OLTRE 6 MESI FA
Claudio Descalzi, lettera ai giornali su Eni e Basilicata

Claudio Descalzi, lettera ai giornali su Eni e Basilicata (nella foto Ansa, il centro di Viggiano)

ROMA – Questa lettera di Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, è stata pubblicata anche sulla Gazzetta del Mezzogiorno. Descalzi analizza la posizione di Eni in Basilicata, dopo la vicenda del centro di Viggiano, al centro dell’inchiesta cosiddetta “petrolio” che ha portato alle dimissioni del ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi. In seguito all’inchiesta giudiziaria, Eni ha annunciato che chiuderà il suo centro oli in quella sede.

Ecco la lettera integrale:

Caro Direttore, dopo tanti anni di presenza di Eni sul territorio, con le nostre persone e le nostre attività, mi sento di dire che in Basilicata ci consideriamo di casa. Per questo, con la franchezza necessaria tra vicini di casa, tramite il suo giornale vorrei dire all’opinione pubblica lucana alcune cose che mi stanno particolarmente a cuore, alla luce degli eventi di queste settimane. Vorrei soprattutto ribadire con forza che non siamo avvelenatori: ambiente e salute sono le nostre priorità e per nessuna ragione metteremmo a repentaglio chi abita i luoghi che ci ospitano e chi lavora nei nostri impianti. In Basilicata, come altrove nel mondo dove operiamo, non abbiamo mai puntato al solo profitto, bensì a valore, sviluppo e tutela dei territori.

Abbiamo costruito da più di vent’anni un rapporto con questa regione, siamo qui per restare a lungo e creare benessere e opportunità di crescita. Certo, in questo momento le nostre attività sono ferme e so bene quali preoccupazioni sta creando in tante famiglie lo stop del Centro Olio Val d’Agri (Cova). Non voglio usare giri di parole per spiegare questo stato di cose, la verità è che non abbiamo alternative. Stiamo offrendo la massima collaborazione all’Autorità giudiziaria, siamo i primi a esigere che faccia chiarezza fino in fondo, incluso sui comportamenti dei nostri dipendenti locali coinvolti. Proprio per questo, però, non possiamo permettere che ci siano fraintendimenti.

Dal punto di vista tecnico e operativo non è possibile proseguire – nemmeno parzialmente- l’attività produttiva del Cova. Non esiste, infatti, una soluzione alternativa di tipo industriale che consenta di evitare la fermata degli impianti. Il Centro Olio dovrebbe essere parzialmente riprogettato dal punto di vista impiantistico e ingegneristico ed essere sottoposto a un nuovo iter autorizzativo, diverso da quello seguito negli ultimi 20 anni, per operare non più come un impianto esclusivamente energetico, ma anche come un impianto di trattamento rifiuti. Ipotesi del tutto irrealistica, sia dal punto di vista industriale che normativo. Le attività del Cova e le nostre pratiche di trattamento delle acque di produzione e di reiniezione nel pozzo Costa Molina 2, infatti, sono state oggetto di un numero enorme di autorizzazioni da parte degli organi competenti.

Nel corso degli anni abbiamo ricevuto tutti i via libera necessari a livello nazionale, regionale e locale: un iter lungo e complesso, che in Italia rende il tempo dalla progettazione all’operatività quasi doppio rispetto al resto del mondo. La lista delle autorizzazioni riempie varie pagine e va indietro fino agli anni Novanta. Per chi fosse interessato scorrerla, l’abbiamo pubblicata sul sito web enibasilicata.it insieme a tutte le informazioni tecniche e scientifiche sulle nostre attività, la tutela dell’ambiente, i controlli sulla salute. E’ sulla base di questo lungo processo autorizzativo che insieme al nostro partner Shell abbiamo investito miliardi nelle attività in Val d’Agri, che ora vengono messe in discussione. Non avremmo preso gli impegni che abbiamo sottoscritto negli ultimi due decenni se non avessimo ricevuto tutti i permessi del caso.

Se si pensa che in Basilicata si faccia qualcosa di diverso da ciò che avviene in altri Paesi, mi permetto di sottolineare un dato: nei campi onshore di tutto il mondo la percentuale di acqua di produzione re-iniettata è pariall’89%, con punte nei campi delle Americhe (95%)e in Europa (92%), continenti nei quali non si può certo pensare che la legislazione sia “permissiva”. Mi rendo conto che il tema è molto tecnico e da addetti ai lavori, ma ci tengo a dire questo: noi riportiamo semplicemente le acque trattate a 4000 metri sotto terra, nell’ambiente sigillato e impermeabile dove sono state per decine di milioni di anni. E’ il metodo scelto come standard internazionale ed è il modo migliore di evitare impatti ambientali.

Tutti gli studi effettuati in Val d’Agri, soprattutto quelli che abbiamo commissionato a esperti indipendenti italiani e internazionali, hanno stabilito che la re-iniezione non solo è conforme alla legge italiana e alle autorizzazioni vigenti, ma anche alle migliori prassi internazionali. E che la qualità dell’ambiente circostante il Centro è ottima, secondo gli standard normativi vigenti. Capisco le preoccupazioni di chi vive in Val d’Agri relative alla salute, anche se mi spiace vedere come su un tema così delicato ci siano spesso comunicazioni non fondate su basi scientifiche e, a volte, vere e proprie speculazioni.

Tutti i dati e gli studi che abbiamo condotto ci spingono a rassicurare sulla sicurezza delle nostre attività, emissioni incluse. Tra l’altro, nello scrupoloso rispetto della privacy, abbiamo affidato a esperti esterni una vasta ricerca medica basata sull’esame del quadro clinico e di laboratorio dei dipendenti Eni che hanno lavorato in un arco temporale di 16 anni (1998-2015), anche in forma occasionale, presso lo stabilimento e gli uffici del Cova, e di quelli che lavorano esclusivamente sulle aree pozzo. Anche in questo caso tutti i risultati – sono a disposizione di chi voglia consultarli – e, allo stesso modo, tutti gli studi epidemiologici condotti anche da istituzioni sanitarie nazionali e internazionali, ci dicono una cosa ben precisa da quando esistono il Centro Olio e le attività sulle aree pozzo, non si sono assolutamente verificate patologie neoplastiche connesse ai fattori di rischio cancerogeno riconducibili all’impianto.

Nelle prossime settimane e mesi continueremo a raccontare il nostro lavoro, nella massima trasparenza, in tutte le sedi e con ogni strumento a disposizione, perché siamo convinti della correttezza di quello che facciamo. Organizzeremo occasioni di approfondimento sul territorio e se sarà necessario andremo porta a porta, da vicini di casa, a spiegare e cercare di fare chiarezza, contro ogni strumentalizzazione. Proprio per andare fino in fondo a questa vicenda, chiederemo un incidente probatorio tecnico in contraddittorio con la Procura, che consenta di verificare sia la conformità dell’impianto alle best practice internazionali, sia il rispetto della normativa italiana. Non vogliamo ombre sull’operato e le attività di un’azienda che è un simbolo dell’ingegno italiano nel mondo e che da decenni crea valore in decine di Paesi, rispettando ambiente e salute senza compromessi.