Dagospia: dieci anni di serissimo “cazzeggio”

di Emiliano Condò
Pubblicato il 29 Aprile 2010 - 20:55 OLTRE 6 MESI FA

Gianni Boncompagni, Roberto D'Agostino e Renzo Arbore

Dieci anni di notizie, dai dialoghi delle segrete stanze dei bottoni al pettegolezzo più leggero. Dieci anni, come dice l’ideatore di Dagospia Roberto D’Agostino, “volati via in un’istante”. Il sito internet che tutti leggono e pochi ammettono di leggere il 23 maggio compirà esattamente dieci anni di attività ma Roberto D’Agostino, contrariamente a quanto molti potrebbero aspettarsi dal personaggio, sceglie una celebrazione sobria.  Ufficialmente non ci sarà neppure una festa perché quella che avrebbe dovuto celebrarsi il 7 giugno, spiega D’Agostino,  “è rimandata. Non ho i soldi per farla. E poi spendere 20.000 euro solo per la mia vanità, non vale la pena. Meglio stare con i ragazzi”.

Per raccontare la decade di Dagospia, infatti, il giornalista ha scelto una piccola aula dell’università La Sapienza di Roma. Arriva alle quattro in punto, siede in cattedra, seppure defilato e accende il suo portatile Mac e sullo schermo allestito per la circostanza si materializza la “Penisola dei Famosi”. Insieme a “Dago” ci sono anche Carlo Rossella, il fotografo Umberto Pizzi, Renzo Arbore e Gianni Boncompagni. “I miei padri fondatori – li definisce D’Agostino – sono quelli che mi hanno aperto il cervello e averli qui è un modo per ringraziarli, anche perché oggi è pieno di persone che ti aprono qualche altra cosa”

A parlare per primo è Arbore che racconta dell’incontro con “Dago” e della partecipazione a “Quelli della notte”. “D’Agostino faceva il dj, io l’ho preso per fargli fare il lookologo” spiega Arbore. Dal look al gossip il passo è stato breve: ma noi, precisa Arbore, lo facevamo  “quando il gossip era ancora roba per parrucchieri, e non di moda. E poi ci siamo stancati quasi subito”. Dopo Arbore la palla passa al protagonista della giornata che dedica l’incontro a Beniamino Placido: “Mi ha insegnato che non ha senso contrapporre tradizione e avanguardia, avvenire e passato. Dagospia viene da questo: è un meltin’ pot di alto e basso e Placido diceva che la realtà si esprime anche la cultura bassa, che è un errore trascurare. Perché c’è un cazzeggio che nasce dal profondo”.

Quindi si rivolge alla platea, composta quasi interamente da studenti universitari: “La brutta notizia è che siete studenti e morirete studenti, io studio ancora oggi. Prima il mondo era molto facile: laurea e lavoro oppure solo lavoro. Oggi, invece, ‘facciamo surf’, cambiamo sempre la nostra attività. E chi rimane indietro è finito”.

Su Dagospia, il suo creatore spiega che, in un certo senso, è una creatura figlia degli anni ’80: “I tanto vituperati anni ’80 sono vituperati da noi perché abbiamo avuto Craxi ma altrove sono sinonimo di pc. Noi, allora, avevamo il Pci e oggi abbiamo il pc, avevamo le br, oggi abbiamo le pr, le public relations. L’amore per il dettaglio visivo e la fotografia rivelatrice, invece, ha un qualcosa di filosofico: “Noi oggi vestiamo il nostro corpo, ma vestendolo vestiamo la nostra mente: col vestiario comunichiamo. Comunichiamo non ciò che siamo ma quello che vorremmo essere, ecco il segreto della ‘look parade’”.

È da qui, che almeno in parte, nasce il successo di Dagospia: “La maschera interessa molto più di quello che siamo davvero, perché grazie alla maschera facciamo parte di un racconto, di una fiction”. Per spiegare meglio il concetto, e tirare ancora in ballo il meltin pot, D’Agostino scomoda addirittura Proust dandogli del “portinaio”: “Proust fa Novella 2000, ovviamente con un altro stile… E che dire di Tacito e Svetonio? Erano due giornalisti che raccontavano il loro punto di vista: ma col tempo anche il pettegolezzo diventa mito. E oggi, i loro personali punti di vista, per noi sono diventati storia”.

Quindi D’Agostino smantella l’idea degli italiani interessati solo alle notizie leggere: “La gente non mi chiede di Pippo Baudo ma di Geronzi. Prima di Dagospia nessuno parlava dell’economia e invece questi signori sono quelli che ce lo mettono in quel posto. Mi fanno perdere tempo a leggere di Bocchino ma io voglio sapere che fine farò domani. Tremonti, Marchionne, Montezemolo: sono queste le persone che incidono sulla nostra vita quotidiana: ecco perché dedico tanto spazio a loro. Mi interessa chi sarà il ragioniere generale dello Stato. Oggi faccio un sito e non me ne frega un cavolo di quello che è più cliccato”. Perché gli italiani non saranno maniaci del gossip ma rimangono guardoni visto che la parte più visitata del sito è Dagosex.

Le notizie, per gli studenti, non sono tutte cattive. In un Paese in cui gli indicatori sulla mobilità sociale dicono che senza un vantaggio di partenza per i giovani è sempre più difficile farcela, D’Agostino sprona i ragazzi a darsi da fare perché “oggi più che in passato non sono i soldi a decidere ma le informazioni che vi portate addosso. Ci sono fenomeni come Facebook e Twitter e il risultato è che  mai si è scritto tanto come in questo periodo”. E anche a “lezione” finita, il giornalista ribadisce il concetto: “Un consiglio ai giovani? Buttarsi, non fare accademia. Dagospia da stasera lo potete fare tutti voi, basta applicarsi. Lavorate un’ora in più degli altri, il lavoro premia. Dagospia ha fatto 10 anni di resistenza”. Il segreto è tutto qua: “Bisogna resistere”.  Per fare un sito simile, secondo Dago, basta poco: “Dagospia è una community, al desk siamo in tre”.

Idee per il futuro?  “Dago” non ha dubbi:  iCafonal, un’applicazione per il nuovissimo iPad. La mente di Dagospia lo racconta così: “Me lo immagino come un libro tutto di foto apposta per l’iPad, un tablet che contiene un librone. Sarà bellissimo, già penso a come luccicheranno le foto”. È il vantaggio di poter scegliere in assoluta libertà: “Fino ai 50 anni ho fatto lo schiavo. Oggi la cosa più bella è suonarsela e cantarsela da solo”.