Antonio Facenna, piccolo eroe “Podolico” del Gargano ferito FOTO

di Redazione Blitz
Pubblicato il 8 Settembre 2014 - 17:25 OLTRE 6 MESI FA

CARPINO, FOGGIA – Antonio Facenna stava tornando a casa, quando un fiume d’acqua e fango l’ha travolto e l’ha trascinato per sei chilometri. La sua Renault Clio è stata ritrovata sabato 6 settembre a Canale Puntone, alla foce del Lago di Varano. Era stata inghiottita due giorni prima, sulla strada tra Vico del Gargano e Coppa Rossa, nel parco nazionale del Gargano devastato dalle piogge: nel promontorio è caduta in sei giorni l’acqua che di solito cade in un anno.

Antonio aveva 24 anni, era figlio unico e aveva deciso di rimanere a Carpino per continuare il lavoro dei suoi padri e dei suoi nonni: allevamento e produzione di caciocavallo podolico, saporito formaggio che si ricava dal latte della mucca podolica, razza originaria della Podolia, regione occidentale dell’Ucraina. Sul suo profilo facebook Antonio scriveva: “1 Kg di caciocavallo podolico si produce con il latte di due munte. Resa bassissima, ma gusto e profumi unici”.

Scriveva anche “Essere Podolico è uno stile di vita”, per rivendicare una scelta che non deve essere stata facile. Come pochi suoi coetanei, dopo le scuole superiori aveva scelto un lavoro manuale, duro, faticoso. E come pochi suoi coetanei, Antonio un lavoro ce l’aveva, e neanche precario. Ma doveva scontrarsi con pregiudizi e crudeli snobismi: a una ragazza o ai tuoi conoscenti era meglio dire “sono uno studente fuori sede” che dire “sono un allevatore” (o un contadino, un pescatore, un meccanico).

Così raccontava di frequentare l’università fuori e di tornare a lavorare nell’allevamento solo durante le vacanze o nelle pause fra un esame e l’altro. Invece stava a casa, quella casa che era anche la sua azienda e la sua vita, dove stava tornando prima di essere travolto dal fango. Sulla scelta di Antonio avevano fatto anche un documentario, presentato al Carpino Folk Festival. Scrive Carlo Vulpio sul Corriere della Sera:

“una manifestazione legata a uno dei più grandi autori di musica popolare, Matteo Salvatore, per il quale Italo Calvino disse: «Le parole di Matteo Salvatore noi le dobbiamo ancora inventare». Antonio non componeva musica né scriveva canzoni, ma la sua era lo stesso poesia. A rivederlo in quel documentario, la gente si commuove per la leggerezza e la convinzione con cui parla di latte, pascoli, formaggi, mucche e lavoro non come condanna, ma come strada per realizzare se stessi ed essere in qualche modo anche felici.

Non è stato però facile per lui coltivare questa passione e presentarsi al prossimo con queste credenziali. Diceva, per una forma di pudore, di frequentare l’università fuori e di tornare in azienda a lavorare solo durante le vacanze o i periodi in cui gli impegni di studio glielo consentivano. Non voleva che la gente lo burlasse o lo considerasse «non riuscito». Sapeva bene che ancora oggi un ragazzo che si sporca le mani con il lavoro agricolo non è esattamente un ragazzo ambìto e davvero rispettato come tutti gli altri. Colpa dell’ignoranza e dei pregiudizi che ancora resistono e che adesso tutti cercano di negare, come se non ricordassero quanta fatica ci sia voluta a convincere Antonio a prender parte a quel documentario che celebra la sua scelta e la offre come esempio di una emigrazione rifiutata. Anche dicendo la piccola bugia dello «studente fuori sede». Ora si strappano tutti i capelli, e forse è per questo che qualcuno ha tolto quel video da YouTube”.

È comparso, su Foggia Today un video di Antonio che balla Le chicchiere du lu paese di Matteo Salvatore, un pezzo riportato in auge da Vinicio Capossela. Il ragazzo è felice e sorridente, ed è bello ricordarlo così.