Cina. Foto-choc di un aborto al settimo mese: ucciso per la legge del figlio unico

di Redazione Blitz
Pubblicato il 27 Marzo 2013 - 20:47| Aggiornato il 19 Novembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

CHUZHOU, ANHUI (CINA) – Una foto “pixelata” e terribile diffusa su internet di un feto al settimo mese, insanguinato dopo essere stato ucciso con un’iniezione letale: è la protesta disperata di una madre e di un padre costretti ad abortire perché violavano la “legge del figlio unico“, la ferrea politica di contenimento delle nascite perseguita dal governo cinese. (Sullo Standard Newswire pubblicata un’immagine meno sfuocata e più forte).

Passa per il web lo sdegno e l’orrore del popolo cinese per l’ennesimo caso di aborto forzato imposto dalle autorità ad una donna ormai al settimo mese di gravidanza che aveva violato la legge del figlio unico. Il fatto è avvenuto venerdì 22 marzo a Chuzhou, nella provincia orientale cinese dell’Anhui. La fotografia di un neonato insanguinato, uscito morto dal grembo materno dopo che i medici lo avevano ucciso con una iniezione letale, sta facendo il giro della Rete. A denunciare la tragedia, forse proprio nell’intento di mobilitare l’opinione pubblica, il marito della donna, che ha diffuso le scioccanti immagini.

Quasi unanimi le reazioni di sdegno da parte di tutti coloro che hanno commentato l’accaduto. Tanto più che – come hanno sottolineato in molti – in questo caso più che di un aborto si è trattato di un vero e proprio omicidio. Il feto era ormai interamente formato e, hanno fatto notare alcuni medici, se non fosse stato ucciso con quella iniezione, è anche probabile che sarebbe sopravvissuto pur nascendo due mesi prima del previsto.

La donna, Lu, 33 anni, secondo le informazioni che sono poi state diffuse da alcune organizzazioni che operano in Cina e all’estero per la tutela dei diritti umani, è stata costretta a ricorrere a questo atto perché non aveva i soldi per pagare la multa prevista in caso di violazione della legge del figlio unico. Due-tremila euro, a volte anche di più. E, come già accaduto per altri casi simili, si sprecano i commenti sulla necessità di una revisione della legge che, così com’è, fa sì che avere un secondo figlio sia di fatto impossibile solo per chi non ha disponibilità economica.

Nonostante le numerose campagne contro gli aborti forzati il fenomeno è nel paese ancora molto diffuso. Lo scorso giugno aveva sollevato molto clamore il caso di un’altra donna incinta all’ottavo mese di gravidanza costretta ad abortire. La legge che impone alle coppie di non avere più di un figlio è in vigore in Cina da oltre 30 anni. La Commissione fissa ogni anno una quota massima di nascite per ogni provincia e le province, a loro volta, stabiliscono le quote per le contee e le città.

Le carriere dei funzionari locali spesso dipendono dal rispetto di queste quote, circostanza che si ritiene sia alla base dei comportamenti persecutori contro le coppie che violano la legge. L’attivista cieco Chen Guangcheng, emigrato negli Usa dopo essere fuggito dagli arresti domiciliari, è stato perseguitato per anni dal governo della sua provincia natale, lo Shandong, proprio per aver denunciato la pratica degli aborti forzati. Negli ultimi tempi il governo cinese sta pensando di rivedere la legge del figlio unico, alleggerendola e rendendola meno stringente.

Ma c’è chi ritiene che dietro la volontà del governo di mantenere la legge ci siano anche interessi economici. Secondo dati recenti 31 tra province e città cinesi ricavano fino a 28 miliardi di yuan all’anno (circa 30 milioni di euro) in multe comminate per far rispettare la legge del figlio unico.