Esule tibetano si dà fuoco per protesta

Pubblicato il 26 Marzo 2012 - 20:50 OLTRE 6 MESI FA
delhi

Lapresse

ROMA – Si e’ dato fuoco per protestare contro l’imminente visita del presidente cinese Hu Jintao. Adesso e’ ricoverato in gravi condizioni e le possibilita’ che riesca a sopravvivere sono pochissime. E’ successo stamane a New Delhi: Jampa Yeshi, 27 anni, si e’ dato fuoco durante una manifestazione pacifica organizzata contro la visita di Hu Jintao in un’area vicina al Parlamento, dove e’ stato schierato un massiccio cordone di sicurezza, secondo quanto hanno riferito i media indiani. Il leader cinese e’ atteso tra pochi giorni per il vertice dei Paesi Brics (Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica).

Circa 600 tibetani si sono radunati stamattina per protestare contro il presidente cinese con striscioni a favore della liberazione del Tibet. Jampa Yeshi e’ riuscito a nascondere una bottiglietta di benzina che ha poi usato per cospargersi il corpo e darsi fuoco. Il giovane si e’ subito trasformato in una torca umana, secondo i suoi compagni che hanno cercato di spegnere le fiamme usando le bandiere che avevano in mano e anche versandogli addosso dell’acqua dalle bottiglie.

Qualcuno gli ha anche gettato addosso una coperta. Quindi e’ intervenuta la polizia e il giovane e’ stato ricoverato in ospedale in gravi condizioni con ustioni sulla maggior parte del corpo. Le probabilita’ che sopravviva, secondo i medici, sono davvero poche. Attivisti tibetani hanno descritto Yeshi, fuggito dal suo Paese nel 2005, come un giovane disoccupato che aveva programmato da tempo di partecipare alla manifestazione. E’ il secondo tentativo di immolazione negli ultimi mesi a New Delhi. Lo scorso anno un altro giovane della diaspora tibetana, residente nella capitale, si era cosparso di benzina e appiccato il fuoco davanti all’ambasciata della Cina, riportando ferite lievi. Senza contare i 30 tibetani, per la maggior parte monaci buddisti, che si sono immolati, dal marzo del 2009 ad oggi, con almeno 20 vittime, in tutte le zone cinesi abitate dai tibetani, sopratutto nella provincia del Sichuan, e in particolare nella prefettura di Aba (Ngaba in tibetano), dove si trova il monastero di Kirti, che ha visto quattro monaci scegliere questa estrema forma di protesta.