Giulio Regeni, uccisa banda al Cairo: in covo suoi documenti

di redazione Blitz
Pubblicato il 24 Marzo 2016 - 23:51| Aggiornato il 25 Marzo 2016 OLTRE 6 MESI FA

IL CAIRO – La polizia egiziana ha sgominato e ucciso una banda di cinque criminali considerati “sequestratori di stranieri” al Cairo. Secondo diversi media egiziani, tra cui il quotidiano filogoverativo Al-Ahram erano sospettati di un legame con la tortura a morte di Giulio Regeni. Lo stesso quotidiano, citando fonti del ministero dell’Interno egiziano precisa che nel covo sono stati trovati i documenti del ricercatore friulano.

La “fonte della sicurezza” del dicastero viene definita “responsabile” (un’espressione che i media egiziani usano per sottolineare l’autorevolezza). Al-Ahram precisa che il passaporto di Giulio Regeni, assieme ad altri suoi documenti, è stato trovato a casa della sorella di uno dei banditi uccisi. Un comunicato parla di un handbag di colore rosso sul quale è stampata la bandiera italiana e all’interno c’è un portadocumenti di colore marrone contenente il passaporto recante il nome di Giulio Regeni, nato nel 1988, il suo documento di riconoscimento (ID) dell’università americana con la sua foto sulla quale c’è scritto in lingua inglese ‘assistente ricercatore’, il suo documento di Cambridge, la sua carta di credito Visa e due telefoni portatili.

“La residenza, nel governatorato di  Qalyubiyya” nel delta del Nilo, a nord del Cairo, “della sorella del principale accusato, che si chiama Rasha Saad Abdel Fatah, 34 anni, è stata presa di mira perché le indagini hanno dimostrato che lui andava da lei di tanto in tanto”, si legge nel comunicato del ministero dell’Interno egiziano.

La stessa nota precisa che nello scontro a fuoco sono morti i componenti di una banda di criminali che, camuffati da poliziotti, “sequestravano” stranieri per derubarli.

La donna, viene aggiunto, “conosceva le attività criminali di suo fratello che nascondeva presso di lei parte della refurtiva. Lei era assieme a Mabrouka Ahmed Afifi, 48 anni, sposa dell’accusato numero uno”. Quest’ultima “ha affermato che l’hand bag appartiene a suo marito Tarek e che lei non ha null’altro”. “Le donne hanno confessato che le cose rinvenute sono il frutto di attività criminali del principale accusato”.

La banda era formata da Tarek Saad Abdel Fatah 52 anni, che abitava a Sharqiyya (governatorato del Basso Egitto) “e in un altro luogo di residenza a Qalyubiyya” (sempre nel Delta del Nilo), accusato in 24 procedimenti diversi e condannato a quattro anni di reclusione; suo figlio Saad Tarek Saad, 26 anni; Moustafa Bakr Awad, 60 anni, accusato in 20 procedimenti; Salah Ali Sayed, 40 anni, sotto accusa in 11 processi.

Nel minibus colpito nello scontro con la polizia al Cairo, “i servizi di sicurezza hanno inoltre rinvenuto il corpo di una persona sconosciuta sulla trentina uccisa da un colpo di arma da fuoco”, si afferma nella nota aggiungendo che “sono in corso sforzi per la sua identificazione.

Secondo fonti dei quotidiano El Watan, i cinque egiziani uccisi “sarebbero legati all’omicidio” di Regeni o almeno, secondo il sito di un altro giornale (El Tahrir), “sospettati di esserlo”. I siti di due giornali che stanno seguendo con assiduità il caso Regeni come Al Masry Al Youm e Al Shourouk smentiscono invece il legame.

“Non possiamo dire se sono responsabili della morte di Regeni o meno”, ha detto all’Ansa una fonte ufficiale del ministero dell’Interno. Si è appreso inoltre che gli investigatori italiani in missione al Cairo sono stati informati dalla polizia egiziana sull’uccisione dei cinque malviventi. Secondo le fonti di El Tahrir, venivano attribuite loro più di 40 rapine e alla “caccia” sfociata nello scontro a fuoco hanno partecipato “forze speciali, formazioni da combattimento ed elementi della sicurezza nazionale”.

Foto rimbalzate su internet hanno mostrato il minibus bianco con il parabrezza e muso crivellato da oltre 30 colpi e i corpi insanguinati di due uomini all’interno. Come già avvenuto in occasione di vari depistaggi mediatici che hanno accompagnato le indagini sul caso Regeni c’è un aspetto poco logico: l’accusa di “sequestri” a scopo di semplice rapina e non di estorsione. Vi è poi la spiegazione per un possibile abbaglio: Al Shorouk sostiene che i criminali truffarono 10mila dollari ad un imprecisato “italiano”.

In ambienti vicini agli inquirenti italiani la pista della rapina peraltro era stata scartata già nelle prime fasi dell’indagine. Un logico esame degli elementi finora emersi continua a far sospettare che il martirio di Regeni sia stato perpetrato da elementi – esterni o interni agli apparati egiziani – intenzionati a danneggiare le relazioni fra Egitto ed Italia o chi le difende. E non sarebbe nemmeno la prima volta che l’Egitto prova a sbrigare alla meno peggio (leggi insabbiare) il caso.