Guerra in Vietnam, 50 anni fa offensiva del Tet, la foto che fece male agli Usa ma la vittima aveva assassinato 300 innocenti

Pubblicato il 30 Gennaio 2018 - 06:33 OLTRE 6 MESI FA

Vietnam, 50 anni fa offensiva del Tet. Max Hastings ricorda: ecco la foto che fece più danno agli Usa di una bomba atomica. Lo scatto del fotografo Eddie Adams della Ap fissa il momento in cui il generale Nguyen Ngoc Loan, capo della polizia del Sud Vietnam, spara alla tempia all’ufficiale Vietcong Nguyen Van Lem. La foto fece indignare il mondo e divenne un simbolo della brutalità dei metodi di americani e alleati. Ma la vittima aveva assassinato 300 innocenti durante l’occupazione della città di Hue, ricorda Max Hastings, giornalista e storico inglese, autore di eccellenti libri sulle guerre mondiali.

Max Hastings all’epoca aveva 22 anni e era inviato speciale di un giornale inglese in Vietnam. Ora sui 30 anni e le due guerre che portarono dalla fine del coloniaslismo francese alla indipendenza del Vietnam unito e comunista, Max Hastings ha scritto un libro, “Vietnam: An Epic Tragedy 1945-75”, che sarà pubblicato in autunno da HarperCollins.

Il Daily Mail ha pubblicato una anticipazione del libro, in occasione del cinquantesimo anniversario della offensiva del Tet, un capolavoro di strategia militare. Era il 31 gennaio 1968. Il tet era il giorno del capodanno lunare. Giorno di festa, di tregua dalla guerra. Una forza di 67 mila uomini, regolari dell’esercito di Hanoi e partigiani Vietcong colsero di sorpresa il contingente americano e i loro alleati sudvietnamiti. Fu una ecatombe. Come a Caporetto, come a Custoza o a Lissa, cone a Dien Bien Phu all’origine della sconfitta ci furono l’inadeguatezza, la superficialità e la sicumera degli alti comandi. Dissero che la colpa era dei soldati e dei quadri intermedi: scoraggiati, drogati, sognavano di essere renitenti alla leva. In quei mesi, in effetti, migliaia di giovani americani cercavano di sottrarsi alla chiamata alle armi, molti si rifugiarono in Svezia, che faceva da santuario.

Erano le 2.47 del mattino del 31 gennaio 1968, racconta Max Hastings, un poliziotto militare americano ha inviato un radiomessaggio d’emergenza dalla postazione all’esterno di un’ambasciata americana, all’altro capo del mondo:”Segnale 300! Stanno arrivando! Aiutatemi! Aiutatemi!”: subito dopo sarà ucciso a colpi d’arma da fuoco insieme a un’altra guardia.
L’allarme terrorizzato del soldato, mezzo secolo fa, dopo Pearl Harbor nel 1941, segnò l’inizio dell’attacco più devastante per l’orgoglio e il prestigio americano.
Da un taxi e un camioncino, i commando di Viet Cong si sono sparsi davanti al complesso dell’ambasciata a Saigon per fare un buco nel muro di cinta così da poter entrare, hanno usato una borsa con esplosivo, poi si sono precipitati all’interno sparando con fucili d’assalto AK-47.
Mentre all’ambasciata era in atto il dramma, su decine di altri campi di battaglia le truppe americane e sud vietnamite lottavano per la propria vita contro gli aggressori comunisti.
Ciò che ha stupito il mondo, e il comandante dell’esercito americano William Westmoreland, era che il nemico – si suppone un’orda di contadini asiatici straccioni a piedi scalzi – avesse rivelato la capacità di mettere in scena un’offensiva sincronizzata di tale portata.
Solo poche settimane prima, Westmoreland era tornato negli Stati Uniti per inscenare un blitz mediatico in cui raccontava al popolo americano che la guerra era quasi vinta:”In più di un anno, il nemico non ha vinto una battaglia importante.. i guerriglieri stanno diminuendo”.
In Vietnam, in quel momento c’erano 492.000 soldati statunitensi, 61.000 soldati alleati e 650.000 sud vietnamiti in uniforme, supportati da 2.600 aerei, 3.000 elicotteri e 3.500 veicoli corazzati.
Eppure i comunisti avevano osato impiegare una devastante potenza di fuoco nelle strade di Saigon, dove erano attivi 4.000 vietcong, a Hue, la vecchia capitale vietnamita e in più di cento distretti e capoluoghi di provincia.
Gli americani sapevano pochissimo dei loro nemici. Credevano che il leggendario rivoluzionario Ho Chi Minh governasse il Vietnam del Nord, e il generale Nguyen Vo Giap gestisse la guerra. In verità, il 76enne Ho era ormai emarginato e Giap, nel 1954 vincitore sulla potenza coloniale francese, era stato tagliato fuori da una nuova generazione di estremisti.
Nel 1968, a governare realmente il Vietnam del Nord era Le Duan, all’epoca quasi sconosciuto. Fu lui che, contro il volere di Ho, Giap e della maggior parte dell’esercito, insistette che i tempi erano maturi affinché i comunisti sferrassero un attacco al Sud dove, predisse Le Duan, mezzo milione di simpatizzanti si sarebbero radunati per cacciare dal Paese, il “naso lungo”.
Gli americani furono catturati in gran parte di sorpresa, poiché la logica suggeriva che l’offensiva del Tet, lanciata tra il 30 e 31 gennaio, fosse una follia militare.
Di conseguenza, a poche ore dall’inizio, 10.000 soldati comunisti avevano marciato nella città di Hue e occupato gran parte della vecchia capitale, senza quasi incontrare resistenza.
Alle forze americane e sudvietnamite, da quel momento, per riconquistare Hue ci vollero tre settimane di devastazione totale, uccisioni e morti.
Lo scontro nell’ambasciata statunitense a Saigon, è terminato a distanza di sei ore dall’inizio, quando l’ultimo dei 19 aggressori è stato ucciso o catturato. Nessuno era penetrato nell’edificio principale dell’ambasciata, tuttavia la storia trasmessa al mondo è che avevano fatto irruzione nella cittadella del potere USA nel sud-est asiatico.
Il colpo al prestigio americano, alla credibilità del comandante dell’esercito americano, generale Westmoreland, e allo stesso presidente Johnson, fu devastante.
Ma la cosa ironica era che l’offensiva del Tet si era rivelata un fallimento militare. Si era conclusa nel corso della primavera, con i comunisti espulsi da tutti i luoghi che avevano occupato per un breve periodo. Avevano subìto 20.000 perdite di vite umane, molte di più degli americani e dei sud vietnamiti.
Nel corso dell’occupazione di Hue, i Viet Cong hanno assassinato a sangue freddo più di 3.000 uomini, donne e bambini, presunti sostenitori del governo di Saigon. Tuttavia, la morte di un solo uomo impressa su una fotografia, ha ricevuto molta più attenzione nel mondo rispetto agli omicidi massa.
A Saigon, l’ufficiale vietcong Nguyen Van Lem aveva personalmente sgozzato il ten.col. sudvietnamita Nguyen Tuan, la moglie, sei figli e la madre di 80 anni.
Il 1 febbraio, Lem fu fatto prigioniero e portato dinanzi al capo della polizia di Saigon, Nguyen Ngoc Loan, un amico del colonnello sudvietnamita ucciso. Loan ha estratto una Smith & Wesson e sparato un colpo in testa a Lem. Gli omicidi commessi dal comunista ne giustificarono l’esecuzione. La famosa fotografia scattata da Eddie Adams, fotografo dell’Associated Press, nel momento in cui Loan spara a Lem, e per cui vinse il premio Pulitzer, tuttavia costò agli americani un prezzo pesante.
Il vicepresidente del Vietnam del Sud, Nguyen Cao Ky, ha scritto:”In quello scatto, la nostra lotta per l’indipendenza e l’autodeterminazione si è trasformata nell’immagine di un’esecuzione insensata e brutale”.
In una società libera, il capo del Vietnam del Nord, Le Duan, sarebbe stato disonorato e screditato per il colossale fallimento dell’enorme azzardo a Tet. Invece, la più grande vittima politica dell’offensiva è stato il presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson.
Il popolo americano, già scettico riguardo alla guerra, rimase traumatizzato dalla scoperta della capacità dei comunisti di infliggere morte e devastazione e dall’umiliazione riportata in seguito all’attacco dell’ambasciata.
Poco prima dell’offensiva del Tet, ricorda Max Hastings, ero in mezzo a un gruppo di giornalisti stranieri che si recarono alla Casa Bianca per ascoltare un’appassionata tirata di 40 minuti di Lyndon Johnson sulla sua determinazione a resistere in Vietnam.
Ma la sera del 31 marzo, il presidente ha aperto un discorso trasmesso in tv dicendo: “Buonasera, cari americani. Voglio parlarvi della pace in Vietnam”. Annunciava la cessazione unilaterale del bombardamento nel Nord e il suo impegno nei negoziati.
Johnson ha concluso il suo discorso in TV con queste parole: “Non cercherò, né accetterò la candidatura del mio partito per un altro mandato come vostro Presidente”.
L’offensiva del Tet infranse la volontà del popolo americano, così come quella di Lyndon Johnson, e il disastro militare del capo del Vietnam del Nord, Le Duan, a causa delle perdite degli Stati Uniti, nel tempo è stato trasformato in un trionfo.
Nel 1969, quando Richard Nixon subentrò a Johnson come presidente, realizzò quello che era un enorme desiderio degli americani, iniziando una graduale rimozione delle truppe dall’Indocina, una ritirata chiamata piano di “vietnamizzazione”. A Parigi, nel gennaio 1973, gli Stati Uniti e il Vietnam del nord hanno firmato un trattato di pace, in base al quale gli ultimi americani avrebbero lasciato il Paese mentre le forze comuniste avrebbero mantenuto le proprie basi.
Due anni dopo, con Nixon che si era dimesso in seguito allo scandalo Watergate, i nordvietnamiti giudicarono gli Stati Uniti troppo deboli e demoralizzati per resistere alla nuova e massiccia offensiva lanciata dai comunisti, che travolse l’esercito del Vietnam del Sud. La sconfitta americana, che la devastazione del Tet rese inevitabile, fu completa con la caduta di Saigon, nell’aprile 1975.