Israele piange Sharon: la camera ardente alla Knesset (foto)

di Redazione Blitz
Pubblicato il 12 Gennaio 2014 - 14:39 OLTRE 6 MESI FA

TEL AVIV – Israele è a lutto per la morte di Ariel Sharon, il generale “bulldozer” che dopo la guerra cercò la pace, celebrato come un “eroe” in patria e condannato come un “criminale” dai palestinesi.

Dopo otto anni di coma e un drammatico peggioramento nelle ultime settimane, l’ex premier israeliano, 85 anni, è morto sabato 11 gennaio nell’ospedale Tel Ha Shomer, dove era ricoverato ormai da tempo.

A partire dalla mattinata di oggi 12 gennaio, i la bara è stata esposta a Gerusalemme di fronte alla Knesset, il Parlamento israeliano, dove la gente può salutarlo. I funerali di “un combattente valoroso, grande condottiero, fra i comandanti più importanti”, lo ha definito il premier Benyamin Netanyahu  si svolgeranno lunedì prima alla Knesset (il Parlamento) con una cerimonia solenne alla quale parteciperanno l’intera leadership israeliana e il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden. Poi il feretro proseguirà per il ranch dei Sicomori nel Negev, luogo prediletto da ‘Arik’ – non distante dalla ‘nemica’ Gaza – dove le spoglie saranno sepolte accanto a quelle di Lily, l’amata moglie.

Lì avverrà l’ultimo saluto “per un soldato valoroso e un leader – ha detto il presidente Shimon Peres – che sapeva osare. Amava la sua nazione e la sua nazione lo amava”. Un capo che “ha consacrato la sua vita ad Israele”, lo ha ricordato il presidente Barack Obama impegnato, con il suo segretario di Stato John Kerry, a favorire una possibile storica pace tra israeliani e palestinesi. E lo stesso vale per il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon: “Un eroe per il suo popolo”.

Da Ramallah, invece, Jibril Rajoub, dirigente di Fatah, ha salutato la scomparsa di “un criminale responsabile della morte di Arafat, sfuggito alla giustizia internazionale”. E nella Striscia di Gaza  – da dove Sharon si ritirò con un clamoroso gesto unilaterale nel 2005 –ci sono stati feteggiamenti. Hamas ha definito un “momento storico” la morte di “questo criminale con le mani coperte di sangue palestinese”.

“Se ne è andato quando ha deciso lui”, ha detto il figlio Gilad dal capezzale e i medici hanno confermato la strenua “battaglia” condotta fino all’ultimo da Arik, costretto da un ictus ad un lungo coma. Una “staffilata di fuoco” – come l’hanno invocata nelle loro preghiere cabaliste alcuni rabbini inferociti, non pentiti ancora oggi, contro Sharon per il suo abbandono di Gaza – che lo ha trafitto, al culmine della sua potenza, una prima volta nel dicembre del 2005 per poi ridurlo all’impotenza nel gennaio del 2006.

La lunghissima e controversa carriera politica e militare ha fatto di Sharon, in ogni caso, un uomo che ha segnato la storia di Israele. Dalle fulminanti battaglie della Guerra dei Sei Giorni del 1967 a quelle decisive del conflitto di Kippur nel 1973, quando salvò la sua patria aggirando l’armata egiziana. Poi il disastro dell’invasione del Libano di cui fu il principale sostenitore: “Una specie di Vietnam. Forse qualcosa di peggio”, ha detto lo scrittore Abraham Yehoshua ricordando Arik. Senza dimenticare la strage di Sabra e Shatila che gli costò il posto di ministro della Difesa, costretto alle dimissioni dal premier Menachem Begin non per essere direttamente responsabile del massacro quanto per non aver saputo impedire alle milizie cristiane, nel territorio controllato da Israele, di colpire i palestinesi.

Sharon – come era nel suo carattere tenace, riconosciuto da tutti – però non mollò: la sua provocatoria passeggiata sulla Spianata delle Moschee, luogo sacro ai musulmani ma anche agli ebrei, scatenò, a detta di molti, la Seconda Intifada, ma lo riportò alla ribalta. Da nuovo premier cominciò una lenta metamorfosi, fino al ritiro da Gaza: la demografia era a favore degli arabi, disse, meglio conservare Israele ebraico. Dopo la rottura con il Likud, di cui era protagonista, ecco il nuovo partito centrista ‘Kadima’. “Se non si fosse ammalato – ha detto Yehoshua, secondo cui il ritiro dalla Striscia ha compensato gli “errori” passati – sarebbe stato l’uomo che avrebbe fatto la pace con i palestinesi. Ne aveva l’autorità e, soprattutto, era capace di parlare con loro”. Ora Israele piange Arik.

E le comunità ebraiche nel mondo, compresa quella italiana, celebrano la sua memoria. Nel mondo da Francois Hollande a David Cameron, ai Clinton – per citarne alcuni – ne hanno esaltano il ruolo che avrebbe potuto avere per una possibile pace. Una vita e un lascito “contradditori”, li sintetizza il quotidiano liberal Haaretz. Ma senza eredi.

Le foto della camera ardente alla Knesset (Ap/LaPresse)