L’infinito, sequestrato terzo manoscritto autografo di Leopardi: “E’ un falso”
Pubblicato il 24 Luglio 2014 - 17:38 OLTRE 6 MESI FA
ANCONA – L’infinito è un falso. O meglio, lo sarebbe il manoscritto ritrovato a Cingoli (Ancona) e attribuito a Giacomo Leopardi. Messo all’asta come terzo autografo della lirica più famosa di Leopardi è stato ritirato e sequestrato dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico. La Procura di Macerata ha aperto un fascicolo con due indagati. Si tratta del direttore ed il curatore dell’Istituto Culturale di Cingoli.
Per i funzionari della Soprintendenza ai Beni Culturali di Roma non ci sono dubbi: questo manoscritto non può essere un autografo per misure e spaziatura tra le lettere, troppo identiche all’originale, quello custodito a Napoli. Sarebbe perciò un calco o un facsimile che, secondo l’accusa, sarebbe stato intenzionalmente prodotto per la vendita all’asta con una base di partenza di 150 mila euro. Di qui l’ipotesi di reato per frode.
Il manoscritto che, se ne fosse stata dimostrata l’autenticità, sarebbe stato il terzo dell’Infinito dopo quelli custoditi a Napoli e a Visso (Macerata), era stato presentato il 19 giugno, con il supporto della prof. Laura Melosi, docente della cattedra Leopardi all’Università di Macerata e dell’esame grafico compiuto da Marcello Andria, tra i massimi esperti di autografi leopardiani.
La Regione Marche aveva annunciato l’intenzione di battersi affinché il documento, ufficialmente emerso dalle carte di una collezione privata, non finisse in mano ai privati, ma rimanesse allo Stato. Ma i dubbi sono emersi quasi subito, da parte dei discendenti del poeta e anche degli esperti del Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati, i quali avevano ipotizzato, informalmente, che potesse al massimo trattarsi di un pagina copiata dai fratelli di Giacomo, che avevano la stessa calligrafia. Il manoscritto si trovava ancora presso la casa d’aste Minerva Auctions di Roma, dove era stato messo all’asta il 26 giugno, per poi essere ritirato mentre la sessione era in corso.
“Ho trovato il documento per caso, e non ho mai detto che fosse autentico”, si è giustificato il direttore della Biblioteca di Cingoli, Luca Pernici, indagato dalla procura di Macerata. Ai carabinieri aveva raccontato la stessa cosa:
“Ho risposto di aver trovato il documento per caso, mentre facevo altre ricerche presso un collezionista. Non essendo io uno specialista, mi sono affidato agli studiosi dell’Università di Macerata e due di loro, dopo mesi di studi, hanno dichiarato l’autenticità del documento.
”Per il resto – conclude – non so nulla. Sono rimasto sorpreso, in negativo, da questa vicenda, ma sono tranquillo, dal momento che mai ho affermato che il documento fosse autentico!”