Migranti bloccati tra Bosnia e Croazia. Il loro disperato sogno: entrare in Europa FOTOGALLERY

di Fabiana De Giorgio
Pubblicato il 18 Febbraio 2019 - 10:22| Aggiornato il 19 Febbraio 2019 OLTRE 6 MESI FA
Migranti: bloccati alla frontiera tra Bosnia e Croazia, il loro disperato sogno di entrare in Europa FOTOGALLERY (di Paolo Amedei)

Migranti: bloccati alla frontiera tra Bosnia e Croazia, il loro disperato sogno di entrare in Europa FOTOGALLERY (di Paolo Amadei)

SARAJEVO – Sono circa 10.000 e provengono da Afghanistan, Pakistan, Siria, India e Marocco.  Sono i migranti bloccati nelle città di Bihac e Velika Kladusa, in Bosnia, al confine con la Croazia, con la speranza di entrare in Europa. Vivono al freddo, in centri di accoglienza che altro non sono che edifici abbandonati e fatiscenti nelle periferie delle città. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni gli fornisce coperte, cibo e un posto in cui dormire. 

Passano le loro interminabili giornate osservando il mondo dalle finestre, recuperando le forze per affrontare i boschi innevati e tentare ancora una volta di entrare in Croazia. Aspettano che si faccia buio per cercare di varcare il confine tra la Bosnia e la Croazia. La maggior parte dei loro viaggi non è a lieto fine. Infatti in tanti vengono scoperti dai soldati croati e rispediti indietro. La polizia croata è molto aggressiva e spesso li picchia e distrugge i loro cellulari per far sì che non si possano più orientare tra i boschi. Ad un rifugiato afgano, che ha tentato di varcare il confine, hanno sequestrato le scarpe, rotto gli alluci e costretto a tornare in Bosnia a piedi nudi (come si vede nella foto 10). Secondo l’Unhcr, la Croazia ha espulso 2.500 migranti dall’inizio del 2018. 1.500 hanno detto di non avere potuto presentare richiesta d’asilo. In 700 hanno denunciato violenze da parte delle guardie di frontiera.

I rifugiati chiamano ironicamente questi tentativi di superare il confine “ the game”, un gioco al quale è praticamente impossibile vincere. Se si perde “al gioco” l’essere picchiati e rispediti indietro non è il peggiore dei rischi. Infatti, secondo il ministero dell’interno croato, tra il 2017 e il 2018 dodici migranti hanno perso la vita mentre ceravano di varcare il confine. Per le Ong invece i morti sarebbero dodici ma secondo gli abitanti del campo sono molti di più.

L’Unhcr sostiene che la Croazia avrebbe espulso 2.500 migranti dall’inizio dell’anno. 1.500 hanno detto di non avere potuto presentare richiesta d’asilo e 700 hanno denunciato violenze da parte delle guardie che vigilano sulla linea di confine. Questa attitudine della polizia croata è una conseguenza della politica di chiusura delle frontiere. Nel 2015 infatti la Croazia ha dichiarato di aver esaurito le sue capacità di accoglienza e ha chiesto di fermare gli arrivi dei migranti. 

A Bihac e Velika Kladusa queste persone vagano per le città come fantasmi avvolti da coperte per proteggersi dal freddo. Per arrivare in Bosnia i migranti hanno già dovuto affrontare un viaggio interminabile, alcuni in autobus e altri addirittura a piedi. Un ragazzo del Pakistan racconta che il suo viaggio è iniziato nel 2015 con duemila euro in tasca: praticamente tutto quello che aveva. I migranti non hanno più niente da perdere ormai e vivono solo nella speranza di arrivare in Europa dove sognano di ricostruirsi una nuova vita lontano dalle guerre e dalle sofferenze e di essere felici. Il 90% dei rifugiati in Bosnia spera di arrivare in Italia, crede che il nostro paese sia un posto moderno, accogliente e sicuro. Un sogno che però sembra sempre più irrealizzabile considerando le politiche che il nostro Paese sta attuando nei confronti dei migranti. Politiche portate avanti prima con il decreto Minniti e poi con ancora più convinzione dalla Lega di Salvini con lo slogan “prima gli italiani”.

Nonostante i loro sogni sembrino sempre più lontani, i migranti a Bihac e Velika Kladusa, racconta il fotografo Paolo Amadei (che ha visitato i centri di accoglienza), non hanno perso la voglia di vivere. “La cosa che più mi ha affascinato di queste persone era vedere come mi sorridevano ogni volta che incrociavamo lo sguardo, vedere quei sorrisi mi rallegrava un po’la giornata. Alla fine dell’avventura, dopo una settimana a Bihac i migranti si ricordavano il mio nome e in modo molto garbato mi chiedevano una sigaretta da fumare insieme”.