Pensioni, “la truffa di Palazzo”. Vittorio Feltri sul Giornale

di Redazione Blitz
Pubblicato il 11 Novembre 2013 - 12:50 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – “Il vizietto che non passa mai” lo definisce Feltri dalle pagine del Giornale, quello di mettere la “mano in tasca ai pensionati”. “Quando lo Stato ha bisogno di rastrellare quattri­ni – continua Feltri – per tampona­re buchi di bilancio, dopo aver azionato la leva fiscale con cru­deltà, pensa di tagliare le pen­sioni: l’unica forma di spending review che conosce e pratica di­sinvoltamente”.

La tabella del Giornale:

"La previdenza in Italia", la tabella del Giornale

“La previdenza in Italia”, la tabella del Giornale

Ecco l’editoriale completo di Vittorio Feltri:

In un primo momento i cer­velloni del governo avevano im­maginato un blocco rigido de­gli adeguamenti al costo della vita per quasi tutti i nonni. Poi si sono ravveduti – pare – e il con­gelamento degli scatti Istat do­vrebbe riguardare solamente gli assegni oltre 3mila euro men­sili, come se una cifra simile fos­se roba da ricchi. A nessuno vie­ne in mente che da tale impor­to, lordo, occorre detrarre l’Ir­pef e altre tasse, per cui la som­ma netta si riduce a 1.800 euro, all’incirca, quanto basta per non morire di fame. Forse.
Non è finita. Secondo i pro­grammi governativi, le pensio­ni superiori a 90mila euro lordi l’anno (poco più di 7mila mensi­li) subirebbero una mazzata. Il che dimostra che il reddito di un anziano non è sicuro, ma in balia di chi lassù ha il potere di decidere.
In buona sostanza, si ha l’im­pressione che per lor signori l’Inps sia una sorta di ente di be­neficenza con la facoltà di dare poco o tanto agli assistiti, dipen­de dalle disponibilità di cassa. Assurdo. Infatti, la pensione non è una gratifica, ma un dirit­to fissato da un contratto stipu­lato tra l’ente e il lavoratore atti­vo. Al quale lavoratore è impo­sto di versare mensilmente one­rosi contributi, in cambio dei quali, quando egli sarà colloca­to a riposo, riceverà un assegno proporzionato a quanto sborsa­to per anni e anni. È un patto re­golato da una legge basata sul principio do ut des .
Ripeto.

Il lavoratore è costret­to a sottostare alla norma, non può scegliere di tenersi la paga intera e di optare per un’assicu­razione di tipo privato, a pro­prio rischio e pericolo. Tanto è vero che i prelievi previdenziali avvengono direttamente alla fonte, appunto sullo stipendio. Il che significa che fra l’Inps e il cittadino c’è un impegno di fer­ro reciproco, che non si può di­sdire unilateralmente. Se lo Sta­to non rispetta il contratto, non si capisce perché il cittadino do­vre­bbe rispettare lo Stato truffa­tore.
Perché truffatore? Perché ri­scuote fino all’ultimo centesi­mo dal lavoratore, ma, quando si tratta di restituirgli il denaro sotto forma di pensione, ciurla nel manico, si comporta da im­broglione. Qualcuno sostiene che molti pensionati percepi­scono un assegno eccessivo ri­spetto a quanto pagato in contri­buti. Esatto. Un tempo si anda­va in quiescenza intascando mensilmente un importo pari all’ultimo stipendio, essendo in vigore il cosiddetto sistema retributivo. Ingiusto? Ingiusto o sbagliato che fosse, esso era stato introdotto dal Parlamen­to e non preteso dai dipenden­ti. Ora, viceversa, vige il sistema contributivo (il lavoratore ri­scuote nella misura in cui ha sganciato), ma non è legale ap­plicarlo retroattivamente. Pole­mizzare su questo aspetto è inu­tile oltre che stupido.
Lo stesso discorso va esteso al­le baby pensioni, che hanno su­scitato uno scandalo mai sopi­to. È folle che ci sia gente la qua­le, avendo lavorato solo 15 o 20 anni, abbia ritirato e ritiri anco­ra, mensilmente, una pensione consistente. Ma di chi è la colpa se non del governo che in tempi remoti approvò un provvedi­mento del genere? Perché accu­sare chi ne ha usufruito legal­mente? Non sono i baby pensio­nati da linciare, ma una classe politica irresponsabile che ha maneggiato il denaro pubblico con incoscienza.
Lo stile dei nuovi padroni del Palazzo non è mutato. Essi si ac­caniscono sui loro amministra­ti anziché amministrare me­glio. La truffa continua. Identi­ca a quella che vede i contri­buenti obbligati a pagare pun­tualmente le tasse, mentre lo Stato salda col contagocce e senza penali i suoi creditori. È un crimine.