Prima Guerra Mondiale, il centenario al Museo Ebraico di Roma FOTO

di Francesca Cavaliere
Pubblicato il 2 Febbraio 2015 - 12:08| Aggiornato il 22 Maggio 2015 OLTRE 6 MESI FA

Il 2014 segna la ricorrenza del centenario della prima guerra mondiale e il Museo Ebraico di Roma ha dedicato all’evento una mostra dedicata alla presenza degli ebrei di Roma tra i soldati italiani partiti per combattere in quella oggi nota come “La grande guerra”.

“Prima di tutto italiani. Gli ebrei romani e la grande guerra” è il titolo della mostra, aperta dal 16 dicembre 2014 al 16 marzo 2015, a sottolineare il senso di appartenenza a una nazione, l’Italia, a cui si stava dando il proprio volenteroso contributo di vite umane. Quella stessa nazione che circa un ventennio dopo sarà loro nemica e diventerà loro per loro inospitale.

La prima guerra mondiale, che i contemporanei inizialmente chiamavano “Guerra europea” perché riguardava gli Stati europei prima che fossero interessate le colonie dell’Impero Britannico, gli Stati Uniti d’America e l’Impero giapponese e che durò dal 1914 al  1918, non coinvolse direttamente la popolazione civile, a parte le vittime dei bombardamenti austriaci sulle città italiane, Udine, Rimini, Ravenna, Ancona, per nominarne solo alcune, ma nel numero approssimativo e complessivo le morti tra i civili sono molte di più rispetto a quelle tra i militari: tra quanti in Italia e quanti nelle altre nazioni si arriva infatti a 10 milioni di morti mentre, per restare alla sola Italia, si parla di 650 mila militari caduti su circa 4.200.000 che andarono al fronte.

A colpire la popolazione furono le epidemie, ricordiamo “la spagnola”, che nell’inverno 1918-1919 fece milioni di morti in Europa, 600 mila solo in Italia, le carestie e le difficoltà nei rifornimenti alimentari, gli spostamenti obbligati di masse di popolazione, ricordiamo il trasferimento forzato dei 600 mila profughi provenienti dal Veneto invaso dopo Caporetto, il peggioramento delle condizioni di lavoro nelle fabbriche, la priorità che gli ospedali davano alla cura dei soldati.

“L’inutile massacro”, come lo definì, condannandolo, Papa Benedetto XV che per fermare la guerra aveva lanciato un appello rimasto inascoltato, coinvolse l’Italia nel 1915, ufficialmente nel maggio di quell’anno, che si schierò a fianco della Francia, del Regno Unito e dell’Impero russo contro gli Imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria, Impero ottomano) e la Bulgaria.

La mostra al Museo Ebraico di Roma “Prima di tutto italiani, Gli ebrei romani e la grande guerra” è curata da Lia Toaff” e:

racconta il contributo ebraico alla Prima Guerra Mondiale attraverso fotografie, lettere dal fronte, libri di preghiera, cartoline, medaglie e onorificenze. Storie di uomini sulla linea di confine, di rabbinati militari e di ebrei italiani che tornati dal fronte per difendere la Patria saranno poi declassati dalle leggi razziali e deportati nei campi di sterminio nazisti […] Il contributo alla Grande Guerra All’alba del Conflitto l’identità patriottica degli ebrei era pari a quella di qualsiasi italiano. La Prima Guerra Mondiale rappresentò l’occasione per legittimare la partecipazione alla vita sociale. Per la prima volta gli ebrei furono messi sullo stesso piano dei cittadini italiani. Il richiamo alle armi rappresentava, infatti, una spinta verso l’emancipazione e smentiva coloro che identificavano l’ebraismo con la codardia e l’ostilità verso la patria di adozione. Quando l’Italia entrò nel Conflitto, nel 1915, la popolazione ebraica italiana ammontava a circa 35.000 persone su una popolazione totale di circa 38 milioni. Molti di questi accettarono con entusiasmo l’entrata in guerra in virtù del patriottismo e dell’attaccamento alla dinastia dei Savoia. 5.000 furono gli ebrei che partirono per il fronte. Nel 50% dei casi ricoprirono il grado di ufficiali: per essere nominato ufficiale era necessario aver conseguito almeno il diploma di studi superiori. Ma gli ebrei romani rappresentano un’eccezione rispetto alla popolazione ebraica italiana che aveva un’istruzione di gran lunga superiore a quella della media nazionale. Lungo la Storia, a loro erano stati permessi solo mestieri poveri e durante gli anni di reclusione nel ghetto si erano occupati principalmente di commercio, così la loro posizione socio-culturale non era avanzata. Ricoprirono, dunque, principalmente il ruolo di militari di truppa, gli ufficiali rappresentavano una minoranza. La regione italiana che ebbe il maggior numero di ufficiali ebrei combattenti (circa 500) fu il Piemonte seguita dalla Toscana (circa 400), dal Veneto e dall’Emilia Romagna (circa 350 ciascuna). Il Rabbinato Militare Durante i combattimenti fu garantita l’assistenza religiosa. Per gli ebrei venne istituito nel giugno 1915 il Rabbinato Militare. Questa istituzione fu proposta dal presidente del Comitato delle comunità israelitiche italiane Angelo Sereni e dal rabbino maggiore di Roma Angelo Sacerdoti. Il rabbino era autorizzato a seguire le truppe al fronte, allo stesso modo dei cappellani cattolici. La sua autorità fu riconosciuta da più parti come antidoto alla forza assimilatrice della vita di guerra. Il rabbinato militare era composto da sei rabbini: cinque di loro furono assimilati al grado di tenente, mentre al loro coordinatore, Angelo Sacerdoti, fu assegnato il grado di capitano, in considerazione della sua posizione e per l’importanza della comunità di appartenenza. In seguito a questi rabbini vennero affiancati, come loro coadiutori, tre vice rabbini. Il 28 settembre 1915 Sacerdoti volle che fosse stabilito nei minimi dettagli un abbigliamento ben preciso che avrebbe dovuto contraddistinguere i rabbini al fronte: dalla divisa invernale a quella estiva, al colore grigio e verde, al berretto con apposta una stella a cinque punte sormontato dalla corona d’Italia. I rabbini dovevano essere, prima di tutto, riconoscibili agli occhi dei loro correligionari e non dovevano essere confusi con i cappellani. Molti ebrei al fronte, invece, volevano evitare di distinguersi per religione. Solo con il tempo divennero consapevoli e fieri del proprio essere ebrei e italiani allo stesso tempo. Dai caduti alle Leggi Razziali I caduti ebrei durante la guerra furono all’incirca 420 e si suppone che in totale ne vennero decorati circa 700. 1600 era il numero di ufficiali ebrei in vita quando in Italia calò l’ombra delle Leggi Razziali. In virtù del loro contributo alla Patria, molti combattenti chiesero di essere esenti dalle persecuzioni, chiesero di essere “discriminati”. Non si registrarono molti casi in cui queste “discriminazioni” vennero concesse e molti di coloro che per l’Italia avevano combattuto, caddero in mano nazista e furono uccisi tra il 1943 e il 1945 nei campi di sterminio.

I documenti in mostra

La mostra, realizzata grazie ai prestiti di Paola Bonfiglioli, Orietta Citoni, Esther Di Porto, Rosa Piperno, al contributo fondamentale dell’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma, e al contributo artistico dell’attore cinematografico Silvio Muccino all’interno del video-documentario dell’esposizione, presenta i seguenti documenti:

– Una Tefillà (libro di preghiere ebraiche) utilizzata in guerra;
– Quattro avvisi della Comunità Ebraiche alle famiglie dei soldati;
– Un grande leggio in argento donato in onore della vittoria al Tempio Maggiore di Roma;
– Due richieste di congedo per il rabbino Sacerdoti;
– Una richiesta di onorificenza per il rabbino Sacerdoti;
– Un libro del ‘700 donato dal rabbino Sacerdoti;
– Due richieste del Presidente della Comunità Ebraica di Roma Sereni per ottenere permessi per i soldati ebrei durante la Pasqua Ebraica;
– Numerose foto di soldati ebrei in guerra (prestatore privato);
– Sacchetta porta oggetti utilizzata al fronte da Gabriele Anticoli;
– Un album fotografico con le immagini degli ebrei al fronte;
– Il libro “Gli Israeliti Italiani nella guerra 1915-1918”;
– Documenti riguardanti la carriera militare del soldato Citoni;
– Tre foto del Capitano Medico Beniamino Citoni con quattro documenti riguardanti la sua carriera militare, tre medaglie, due spalline della divisa con la sua fascia, il suo documento d’identità durante l’occupazione nazista che lo individua come apolide;
– Due documenti sul Generale Emanuele Pugliese: una concessione della medaglia d’argento al valore militare (con medaglia) e la concessione della croce al merito di guerra;
– Una cartolina raffigurante un soldato ebreo in bicicletta (Ermanno Jacchia) inviata a Gastone Bonfiglioli (anche lui soldato), poi morto ad Auschwitz;
– Un congedo assoluto di Gastone Bonfiglioli;
– Tre inviti per le commemorazioni successive alla Prima Guerra Mondiale al Tempio Maggiore di Roma e per l’apposizione della lapide ai caduti;
– Elenco dei morti in guerra;
– Elenco scritto a mano di morti, feriti, mutilati, decorati;
– Due articoli di giornale che riportano l’apposizione della lapide al tempio in ricordo dei caduti;
– Dépliant che riporta le preghiere svoltesi al tempio in occasione della commemorazione per i caduti;
– Documento in cui il Presidente della Comunità Ebraica di Roma Sereni chiede la dispensa per due soldati ebrei (Treves e Sinigallia) in occasione delle festività ebraiche;
– cartolina di un soldato (Treves) al Presidente della Comunità Ebraica di Roma Sereni per chiedergli di fare in modo di poter avere un congedo per le feste;
– 44 lettere e 19 cartoline a Gabriele Anticoli al fronte inviate dal padre Prospero, dai fratelli Giorgio e Adolfo (anche loro al fronte) e da altri parenti.

All’inaugurazione della mostra hanno partecipato il Ministro della Difesa Roberta Pinotti, il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici e il Rabbino Capo Riccardo Di Segni, l’Assessore alla Cultura della Comunità Ebraica di Roma Gianni Ascarelli, la Direttrice del Museo Alessandra Di Castro e la curatrice della mostra Lia Toaff.

Il Museo Ebraico di Roma si trova in Via Catalana (lato Portico d’Ottavia), il suo sito è http://lnx.museoebraico.roma.it/w/.