Roma. Pompi chiude e vende ai cinesi. Voleva diritto di sosta in tripla fila

di Redazione Blitz
Pubblicato il 13 Ottobre 2014 - 13:10 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Pompi, una delle pasticcerie più note di Roma, chiude i battenti. Non cessa l’attività: semplicemente si sposta da via Albalonga nel quartiere San Giovanni all’Eur, almeno così spiega il proprietario.

Ma a far discutere non è la chiusura in sé quanto la coda di veleni e accuse che alla chiusura si legano. Tre i temi al centro dello scontro: il primo è che Pompi cede ai cinesi e dove fino a oggi c’è stato il “tempio del tiramisù” in futuro si venderanno pollo alle mandorle e ravioli al vapore. Il secondo è che il titolare accusa il Municipio di avergli distrutto l’attività facendogli perdere 4mila euro al giorno di incassi solo perché ha prima multato i clienti in tripla fila e poi messo uno spartitraffico che ha reso impossibile la sosta selvaggia.  Il terzo è che sempre il titolare, annunciando la chiusura, ha messo un cartello che ha infastidito una parte della comunità cinese.

1) Pompi, insomma, cede ai cinesi. Lo spiega lo stesso titolare che racconta di essere in trattativa con tre clienti: due cinesi appunto, e uno dell’est europeo. Ma il cartello che il titolare mette fa pensare che alla fine saranno proprio gli asiatici ad aggiudicarsi il posto.

2) Perché il bar chiude. Semplice: a via Albalonga il costume è quello di parcheggiare non in doppia ma in tripla fila. E i vigili, quando passavano, ci andavano a nozze. Roba da finire un taccuino di multe. Semplice rispetto delle regole, viene da pensare. Al titolare di Pompi, però, sembra una persecuzione: senza sosta selvaggia e con i “clienti perseguitati” il volume di affari si riduce. Fino al “colpo di grazia”. L’installazione di un divisore che ha reso impossibile la sosta anche in doppia fila. Dalle parti di Pompi hanno fatto i conti: rispettare le regole fa perdere 4mila euro. Semplicemente perché i clienti non potendo lasciare la macchina in tripla fila vanno a prendere il caffè altrove.

3)Il cartello. Pompi cede ai cinesi ma allo stesso tempo dice con una punta di disprezzo che “chiude una attività romana di 54 anni” e che “i residenti avranno più tempo per imparare il cinese”. Qualche italo cinese non l’ha presa bene. Se non altro per quella che pare una contraddizione stridente: prima si vende, si fa cassa, poi si “disprezza” chi compra. C’è un dettaglio che non si può ignorare: i cinesi protestano per il razzismo, ma la loro concorrenza è spietata e l’uso del nero è probabilmente assoluto e molto dubbi sulla loro lealtà fiscale sono legittimi. Questo però, col cartello (vedi foto) ha poco a che fare.