Elezioni 24 febbraio, in scheda son più di 20. Liste, nomi, simboli e alleanze

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 4 Gennaio 2013 - 15:09| Aggiornato il 18 Febbraio 2013 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Alle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio ci aspetta una scheda elettorale fra le più difficili da interpretare degli ultimi vent’anni. Una foresta di simboli, tante liste personali e cinque poli. Andiamo a conoscere uno ad uno i partiti e i movimenti che si presenteranno alle prossime elezioni.

CENTRODESTRA. In realtà di centro ha poco, mentre di destra ha quasi tutto quello che offre il mercato. Nel senso che fuori dall’attuale centrodestra dovrebbero rimanere solo Forza Nuova e CasaPound. Mentre dentro c’è posto assicurato per La Destra, posto sicuro per Fratelli d’Italia, posto prenotato per una “Lista Sud” con i Governatori meridionali del Pdl e posto incerto per la Lega Nord.

Pdl. L’ultima novità (fonte Berlusconi Silvio) è che sulla scheda elettorale ci sarà il Pdl più o meno così come l’abbiamo conosciuto finora. Quindi, nessun cambio di nome, niente “glorioso simbolo di Forza Italia” che ritorna sulla scheda, niente restyling di quello attuale. L’entourage del Cavaliere gli avrà fatto capire che un brand nuovo con un candidato vecchio (lui) sarebbe un marketing politico non molto efficace.

L’obiettivo è quello di perdere benissimo: aggregare tutto quello che c’è a destra di Monti, rimettere insieme quasi tutti i pezzi della ex maggioranza che, partita fortissimo nel 2008, si è frantumata nel corso della legislatura. L’eterogeneità di liste, programmi e personaggi è secondaria, visto che si deve fare opposizione e non si deve governare. Ma se la coalizione arrivasse al 30% potrebbe approfittare dell’ingovernabilità al Senato per condizionare l’azione del prossimo esecutivo.

Fratelli d’Italia. Gli ex An Giorgia Meloni e Ignazio La Russa con il liberale critico verso Berlusconi Guido Crosetto hanno dato vita a uno strano soggetto politico, che non si può definire uno spin-off degli ex di Alleanza Nazionale proprio per la presenza di Crosetto. Il simbolo, che quest’ultimo definisce ricco di significati, “Tre corde legate, una verde, una bianca e una rossa, in un nodo che non si può slegare”, sembra già visto. C’è chi dice che è copiato, e c’è chi, come Michaela Biancofiore, dice che è rubato: “L’avevo depositato prima io”. Se il simbolo fa discutere, si ironizza anche sulla genesi della formazione: Meloni e Crosetto, usciti dal Pdl in polemica con Berlusconi, si sono subito alleati col Pdl di Berlusconi, con La Russa che sembra un agente inviato da Arcore con la missione di federare alla casa madre la riottosa coppia del “gigante e la bambina”. Certo, la soglia di sbarramento del 4% alla Camera e dell’8% al Senato per le liste non apparentate fa paura. “Abbiamo un potenziale del 14%”, ha dichiarato La Russa. Ma gli ultimi sondaggi dicono  che Fratelli d’Italia allo stato attuale raccoglierebbe il 2,6%.

Intesa Popolare. Giampiero Catone gongola perché l’ultimo sondaggio accredita di un 2% la sua neonata forza politica. Sì, ma chi è Giampiero Catone? Napoletano, ex Ccd, Forza Italia, Nuovo Psi, deputato dal 2006, lasciò il Pdl per i dissidenti di Fli, salvo poi ricredersi al primo banco di prova, la sfiducia al governo Berlusconi del 14 dicembre 2010. Silvio ce la fece anche grazie al voto favorevole di Catone, che fu ripagato con un posto da sottosegretario all’Ambiente. La condanna in primo grado ad otto anni per truffa aggravata, falso e bancarotta fraudolenta del 23 febbraio scorso non preoccupa Catone, che ha creato questa federazione di liste civiche e movimenti vicini al mondo cattolico (Circoli della Discussione, Alleanza Democratica, Cristiani Democratici Italiani, Destra Libertaria, Lega Cristiana), che ha come simbolo la sagoma di una famiglia (mamma-bambino-papà) che va incontro a un tricolore.

A una prima occhiata potrebbe sembrare un qualunque partito di centrodestra degli ultimi 20 anni. Ma dentro c’è gente come Stefano Tacconi. Che ha vinto tutto come portiere della Juve ma non è mai riuscito a farsi eleggere. Nel 1999 non ce la fece alle europee con Alleanza Nazionale, così nel 2006 alla comunali di Milano con Letizia Moratti. Mentre l’anno prima non riuscì a raccogliere firme sufficienti per candidarsi alla Regione Lombardia con il Nuovo Msi.

Grande Sud. Lista guidata da Gianfranco Micciché che riunisce tutti i partitini meridionalisti (Io Sud, Noi Sud, Mpa) da Raffaele Lombardo ad Adriana Poli Bortone, con il sostegno di vecchi e nuovi presidenti di Regioni del Mezzogiorno come Giuseppe Scopelliti, Stefano Caldoro e Raffaele Fitto. L’inquieto Micciché, pupillo di Berlusconi che si è dichiarato “pentito di essere stato con Berlusconi” prima delle ultime regionali siciliane, non ha perso tempo ad accettare l’offerta del Cavaliere.

La Destra. I duri e puri del vecchio Msi dovrebbero ritornare in Parlamento, capitanati da Francesco Storace, che proverà a sfruttare la parallela campagna per le regionali del Lazio, dove si è candidato alla presidenza (sarebbe un bis, dopo il non brillantissimo quinquennio 2000-2005), per provare, su base nazionale, a gettare il cuore (nero) oltre l’ostacolo del 2%. Con il Pdl lo lega un patto d’acciaio mai messo in discussione negli ultimi due anni. In lista potrà contare su personaggi ammiccanti alla destra estrema come l’ex console fascio-rock Mario Vattani, capolista in Campania.

Lega Nord. Ago della bilancia del centrodestra, se si allea con Berlusconi sarà accusata di poca coerenza, se corre da sola rischia di sparire dal Parlamento, dove era saldamente insediata dal 1992. Sulle scelte di Roberto Maroni peserà molto la sua parallela corsa alla presidenza della Regione Lombardia e le minacce del Pdl di far mancare la maggioranza in Piemonte e in Veneto. Il Nord, innanzitutto. E proprio per il Nord la Lega continua a trattare sottobanco con Berlusconi, nonostante i ripetuti proclami di indipendenza dal padrone del centrodestra. Che se potrà contare anche sulle camicie verdi rischia veramente di rovinare la festa al centrosinistra di Bersani.

Movimento 3L. Lista, Lavoro e Libertà sono le tre L del partitino dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Si alleerà sicuramente con la Lega Nord. Poi sarà più Maroni che Tremonti a decidere se confluire nella coalizione di Berlusconi.

CENTRO. Monti pigliatutto, tranne la lista di Oscar Giannino, che si presenterà in solitudine. Per il resto Casini, Fini e la rete di Montezemolo non solo sono alleati sotto il marchio Monti, ma hanno rischiato di essere inglobati dalla lista Monti. Il che è accaduto solo in parte, al Senato. Alla Camera ci saranno tre liste.

Fare. È il nome con il quale la lista “Fermare il declino” di Oscar Giannino correrà da sola alle prossime elezioni. Forte di 48 mila adesioni online e di 250 illustri firmatari dell’appello “per la crescita” lanciato la scorsa estate. Firme illustri delle quali nessuna si è voluta impegnare in prima linea, però. E, snobbato da Monti, a Giannino tocca candidarsi in solitudine alla presidenza del Consiglio, alla guida di una forza liberista “dura e pura”, critica con la vaghezza e il cerchiobottismo dell’agenda Monti, ma che difficilmente propri uomini in Parlamento.

Scelta Civica Con Monti per l’Italia. È il “movimento, non partito” neonato che federa e in parte ingloba il cosiddetto Terzo Polo nel nome del premier uscente. E della sua agenda di 25 pagine. L’obiettivo è superare la soglia di sbarramento nazionale del 10% alla Camera e superare le soglie di sbarramento regionali dell’8% al Senato. Per farlo il “polo Monti” si presenterà con tre liste alla Camera (dove le coalizioni devono superare il 10%) e una lista sola al Senato (dove alle singole liste basta l’8%, alle coalizioni serve il 20%).
Candidandosi poi a gestire l’ingovernabilità prevista al Senato o con un Monti bis o con un Monti ministro. Provare a dirottare al centro, insomma, le politiche del prossimo, probabile governo di centrosinistra. Enrico Bondi, “mister spending review”, sta vagliando le candidature. Di sicuro c’è quella degli ex ministri Corrado Passera e Andrea Riccardi. “Importazioni”: Giuliano Cazzola dal Pdl e Pietro Ichino dal Pd. Quella di Monti è stata l’ultima lista a mostrare il simbolo. Nome di Monti in bella vista, blu su campo bianco, corredata da un tricolore stilizzato. Lo ha concepito l’agenzia Proforma, pubblicitaria barese che ha portato al successo per due volte il governatore della Puglia, il “silenziando” Nichi Vendola.

Udc. Le nove vite del partito di Pier Ferdinando Casini, che però stavolta – se non sarà assorbito dalla lista di Monti – non metterà il proprio nome sul simbolo, bensì un solenne “Italia” con l’abituale, rassicurante, scudo crociato sotto. Casini si è sempre trovato a suo agio nel governo Monti, e sarà ancora più confortato dalle recenti uscite del Professore sul “tagliare le ali estreme” e sulla “libertà di coscienza sui temi etici” che allontana dalla coalizione montiana lo spettro del laicismo. Ma la benedizione dei vescovi, che forse farà molto bene alla coalizione, potrebbe fare più la fortuna elettorale della lista Monti che dell’Udc. Il mercato dei voti al centro non offre poi così tanto margine, e l’Udc rischia di staccarsi dal suo solito 6%.

Fli. Anche Gianfranco Fini si è trovato benissimo con Monti premier, ma dal mancato affondamento del governo Berlusconi la sua carriera politica è naufragata nell’irrilevanza. Tanto che – sempre che Fli non venga inglobato dalla lista Monti – non ci sarà il nome di Fini ma solo “Fli” nel simbolo di un partito che vede il 2% come un miraggio.

Verso la Terza Repubblica. Alla fine, Luca Cordero di Montezemolo ha deciso di non candidarsi. Ma rimane in piedi il network che ha costruito in questi anni, nei quali a più riprese è stata ventilata (da lui stesso) la sua “discesa in campo”. Ora la rete Italia Futura e il più recente soggetto costruito col ministro Riccardi, “Verso la Terza Repubblica”, saranno al servizio di Monti. Tanto da confluire nello stesso simbolo. Lista Monti e “Verso la Terza Repubblica” saranno infatti una cosa sola.

Italia Popolare. Raccoglie i transfughi del Pdl che si riconoscono nell’agenda Monti: Franco Frattini, Gianni Alemanno e Fabrizio Cicchitto. Ma non si sa se i personaggi sunnominati si guadagneranno un posto nella lista Monti o dovranno presentarsi come Italia Popolare alla caccia del 2%.

CENTROSINISTRA. Un universo – da Tabacci a Vendola – che ruota intorno al Pd di Bersani, partito uscito rafforzato dalle primarie e dalla prospettiva di vincere le politiche. Fuori dall’orbita i radicali di Pannella.

Pd. Viaggia con il vento in poppa ma con il terrore di fare qualche errore decisivo come è successo in passato ogni volta che era favorito alle politiche. Pier Luigi Bersani si sta muovendo con i piedi di piombo, tenendosi stretto tutto quello che si muove alla sua destra e alla sua sinistra. L’obiettivo è prendere più del 30% come partito e più del 40% come coalizione, per vincere il premio di maggioranza. Questo alla Camera. Al Senato il pericolo si chiama Lombardia e Veneto, regioni che potrebbero rendere impossibile la formazione di una maggioranza a Palazzo Madama. Per questo serve Renzi e candidature come Massimo Mucchetti e Carlo dell’Aringa, per presentare un Pd più liberaldemocratico e convincente nelle regioni del Nord, mentre Stefano Fassina e i “giovani turchi” mostreranno quella faccia socialdemocratica che va bene al Centro e al Sud.

Sel. Il sindacalista Fiom Giorgio Airaudo in Piemonte, la portavoce Unhcr Laura Boldrini nelle Marche, l’europarlamentare verde Monica Frassoni, con Grazia Francescato, al Senato. Nichi Vendola si affida ai nomi (molte donne, parecchi giovani) perché in questi anni un partito non lo ha mai costruito veramente. Il primo nome è il suo, che sarà speso come capolista in più regioni. Sarà difficile arrivare al 6%, dopo l’ultimo anno passato a criticare Monti ma allo stesso tempo ad appiattirsi sulle posizioni del Pd, che fanno perdere voti nell’ex mondo “arcobaleno” della sinistra parlamentare ed extraparlamentare. Vendola ha scommesso tutto, anche la presidenza della Regione Puglia, che lascerà dopo essere stato eletto alla Camera. Potrebbe ritrovarsi in primavera senza la sua Puglia e con un partito irrilevante in una coalizione dove, per statuto, si deciderà su tutto a maggioranza.

Psi. Il partito socialista di Riccardo Nencini ha aderito alla piattaforma “Italia. Bene Comune” ed è parte integrante del centrosinistra. Ma appare improbabile che riesca ad arrivare al 2% che permetterebbe di entrare in Parlamento.

Centro Democratico. Bruno Tabacci, Massimo Donadi in fuga dall’Idv, l’Api di Francesco Rutelli: sono i centristi alleati col Pd. Si muovono in una nicchia, stretti fra l’ala renziana del Pd e le liste montiane di centro. Sarà un miracolo arrivare al 2%.

Radicali. Fuori dal centrosinistra. Sul simbolo le parole Amnistia, Giustizia e Libertà, con il simbolo della pace e quello della rosa. Ma stavolta Marco Pannella ed Emma Bonino non ce la faranno a uscire dalle elezioni con qualche parlamentare. La legislatura da apparentati, inglobati nel Pd non è trascorsa proprio liscia e i ripetuti conflitti fra radicali e democratici rendono impossibile il ripetersi dell’esperienza. Il futuro prossimo è extraparlamentare.

SINISTRA. Arancioni-Ingroia-Idv-Pdci-Rc-Verdi. Nel “quinto polo” arancione-rosso-verde si registrano già le prime defezioni: sono quelle della piattaforma “Cambiare si può”, professori come Marco Revelli, Luciano Gallino e Stefano Rodotà, snobbati da Luigi De Magistris e Antonio Ingroia nella formazione delle liste. Di Ingroia si registra un protagonismo probabilmente indigesto per le componenti rosse e verdi dell’alleanza, più vicine a un modo collettivo di intendere la politica. Per il resto, oltre alla necessità di superare le soglie di sbarramento per entrare alla Camera e al Senato, non si capisce cosa unisca il giustizialismo di Ingroia, De Magistris e un defilato Di Pietro all’ultima spiaggia con il post-comunismo di Oliviero Diliberto e Paolo Ferrero. Sulla scheda vedremo sei simboli apparentati. I sondaggi dicono: 5%.

GRILLO. Movimento 5 Stelle. Il punto di forza non saranno i candidati ma la presenza sul territorio di un movimento che pur rifiutandone decisamente la definizione assomiglia sempre di più a un partito, anche se strutturato con la “democrazia liquida” che alla sezione preferisce i forum. Il simbolo è sempre lo stesso. I voti forse saranno un po’ di meno delle previsioni. Gli ultimi sondaggi danno Grillo più vicino al 10% che al 20% che aveva lambito in autunno. Il motivo può essere l’abbondanza di offerta politica, che riempie tutti gli spazi della protesta, dell’anti-politica e del “né destra né sinistra” che qualche mese fa erano liberi, terreno di caccia per il comico genovese e per il suo guru Gianroberto Casaleggio.