Usa 2012: Obama vince terzo dibattito, Romney k.o. in politica estera

Pubblicato il 23 Ottobre 2012 - 09:17 OLTRE 6 MESI FA

(Ap/LaPresse)

BOCA RATON, STATI UNITI – Barack Obama si conferma un valido ‘Commander in Chief’. A quindici giorni dall’election day, dimostra di avere piena padronanza di tutti i piu’ importanti dossier di politica estera.

Vivace, reattivo, spesso aggressivo, vince il terzo e ultimo dibattito tv dedicato appunto alla politica internazionale. Non sferra mai colpi da ko, ma in una lotta cosi’ serrata anche un vantaggio di pochi punti percentuali tra gli indecisi, come nota a caldo Nate Silver del New York Times, potrebbe fare la differenza.

Poco dopo la fine del duello a Boca Raton, florida,  la vittora del presidente è stata confermata dai sondaggi. Secondo la Cnn Obama  ha raccolto il 48% delle preferenze tra gli elettori che hanno seguito il dibattito contro il 40 per cento del candidato repubblicano Mitt Romney. Ancora più netta la vittoria del presidente secondo l’nstant poll della Cbs:  53 a 23 per cento.

Tema del duello era la politica estera, punto dobole di Romney, e quindi ha cercato di spostare il discorso su un terreno a lui piu’ congeniale, quello dell’economia, della crisi e del lavoro che non c’e’. Sin dall’inizio, Obama ha costretto Romney a stare sulla difensiva. ”IL problema e’ che su tante questioni – attacca il presidente – dal Medio Oriente, all’Afghanistan, all’Iraq, lei e’ sempre fuori gioco’’. Il candidato repubblicano capisce subito che deve limitare i danni, puntando a un pareggio indolore. Piu’ volte parla di ‘pace’. Gia’ in apertura si congratula con Obama per l’uccisione di Bin Laden, in modo da spuntare il cavallo di battaglia obamiano, l’exploit piu’ evidente della sua presidenza.

Ha evitato con cura il corpo a corpo. Da un lato ha ricordato genericamente che con Obama l’America e’ meno influente nel mondo, critica il presidente per aver maltrattato Israele, il tradizionale primo alleato d’America. Ma dall’altro, quando si entra nello specifico, praticamente si dice d’accordo con molte scelte del presidente. A sorpresa non attacca sulla Libia, forse memore del passo falso della settimana scorsa. Su Siria, Iran, Egitto, Russia e soprattutto Afganistan, anche a costo di qualche giravolta rispetto al passato, mostra di avere le stesse soluzioni proposte da Obama. Assicura che se eletto confermera’ il ritiro da Kabul entro il 2014, benedice l’uso dei droni, corregge il Tiro su Mosca definita pochi mesi fa ‘il nemico numero uno’, derubricando l’ex Urss come un ‘antagonista geo-politico’ per l’America.

E poi ammette che le sanzioni a Teheran stanno funzionando e che l’attacco militare e’ ”l’ultimo passo”. Prende perfino le distanze da George W. Bush. Insomma, mostra un’identita’ di vedute con il suo competitor pressoche’ totale che provoca qualche sfotto’ su Twitter, dove qualcuno cinguetta: ”Breaking News, Romney appoggia Obama”. Ma poco importa. Il vero obbiettivo e’ un altro. Cosi’, appena puo’, Romney cerca di uscire dall’angolo parlando di economia interna, della crisi e del lavoro, il tallone d’Achille di Obama. Una fuga strategica che pero’ gli riesce solo in parte. Il moderatore, l’anziano Bob Schieffer, suda sette camicie per cercare di riportare il discorso sulla politica estera.

Ma e’ Obama con i suoi attacchi continui e puntuali a mettere Romney in difficolta’. Cosi’ lo staff presidanziale puo’ tirare un sospiro di sollievo dopo la doccia fredda del primo dibattito di Denver. ”Obama ha dimstrato in modo forte e deciso di essere il Commander in Chief”, commenta soddisfatto il suo braccio destro, David Axelrod. Felice anche John Kerry, il suo allenatore ai duelli tv, che prende in giro Romney citando la gaffe sulle donne della settimana scorsa: ”Mitt sembra non avere ‘fascicoli’ sulla politica estera”.

Unica nota stonata, ma ampiamente prevista, da parte di entrambi i candidati alla Casa Bianca e dello stesso moderatore: nessuna domanda, nessun cenno seppur minimo all’Europa e alla crisi dell’Eurozona. Ma nemmeno all’America Latina. Un dettaglio che non e’ sfuggito all’ironia amara e sferzante di Michael Moore, il regista premio Oscar, coscienza critica della sinistra americana: ‘’Hey – ha twittato alla fine della serata – nessuna menzione di Europa, di America Latina, di Antartide al dibattito sulla ‘politica estera’. E’ come dire che se non possiamo bombardarti, non parleremo mai di te”.