Come farò della Rai una noia mortale: “Un talk show che…”

di Marco Benedetto
Pubblicato il 4 Settembre 2015 - 11:51 OLTRE 6 MESI FA
"Un talk show che funziona non sempre supera la concorrenza"

Antonio Campo Dall’Orto. Quale è il suo vero mandato?

ROMA – Antonio Campo Dall’Orto ha cantato, Berlusconi e Rupert Murdoch hanno sorriso. Antonio Campo Dall’Orto, neo direttore generale della Rai, ha spiegato con queste parole ai lettori del Foglio e al mondo avvertito via Twitter la Rai che sarà: “Un talk show che funziona non è sempre un talk show che supera come ascolti la concorrenza, ma è sempre un talk show che lascia qualcosa in più a chi lo sta guardando”.

In altre parole: Silvio, Mr. Murdoch, state sereni, la Rai non farà concorrenza a Mediaset né a Sky. Cominciamo dai talk show, poi…

Poi la Rai sarà di una noia mortale, proprio come sognate voi.

La Rai cede pezzi a Mediaset e Sky, perde campionati e gran premi, rinuncia persino a Miss Italia e qui stiamo a parlare di cultura, di educazione, di formazione.

Provoca un po’ di amarezza e di allarme che ci caschi tanta gente preparata e per bene della sinistra, tutti sinceramente anti berlusconiani, tutti ben allertati su Murdoch, magari con qualche pecca nel passato come Vincenzo Vita ma lui obbediva al Partito, cioè a Massimo D’Alema, nel consegnare le chiavi agli uomini di Berlusconi.

Le parole di Antonio Campo Dall’Orto dovrebbero suonare allarme nelle loro teste. Ben impacchettate come nemmeno Bertinotti avrebbe saputo fare, le idee di Antonio Campo Dall’Orto sono chiare: niente più concorrenza con i privati, il servizio pubblico è…Già cosa può essere il servizio pubblico della Tv se non dare il meglio possibile della televisione a chi non esce la sera e nemmeno più il pomeriggio e anche la mattina, a chi non può permettersi l’abbonamento a Sky, a quell’Italia di poveri che quando serve all’Istat costituisce la maggioranza dei miei concittadini?

Il meglio possibile della Tv vuole dire Miss Italia, Festival di Sanremo, partite, gran premi, film, anche il Papa e la Messa la domenica, tutto quello che ti fa passare il tempo senza soldi e chiuso in casa; non Luca Ronconi e Sorrentino in prima serata. Alla base del successo di Berlusconi furono i film che sulla Rai nessuno poteva vedere, se non uno alla settimana, il lunedì, ormai vecchi di almeno 2 anni. Marco Travaglio ha messo in evidenza la fumosità del linguaggio e la inconsistenza dei concetti dell’intervista di Antonio Campo Dall’Orto con Claudio Cerasa per il Foglio. Ha risparmiato Claudio Cerasa anche se l’italiano dell’intervistatore appare in totale sintonia con quella dell’intervistato.

Gli stessi concetti sono reiterati in un articolo di Marco Mele sul Sole 24 Ore basato su un documento presentato da Antonio Campo Dall’Orto al Consiglio di Amministrazione della Rai intitolato “Gruppo Rai – Contesto di riferimento e posizionamento competitivo”.

Dice che vuole fare della Rai una “Media company”. Ma la Rai è una media company, come lo sono tutte le società editrici italiane. Forse voleva dire “Multi Media” ma non l’ha detto, forse per non agitare troppo gli editori dei giornali tutti impegnati a fondo nel trasformare le loro stesse aziende in multi media company, loro con i soldi degli azionisti, la Rai con i soldi dei contribuenti.

Il timore è che, obbedendo al patto del Nazareno, Antonio Campo Dall’Orto prosegua nella demolizione della Rai che piace tanto a Berlusconi e che è in corso da un quarto di secolo, da quando fu estromesso Biagio Agnes, l’unico che abbia fatto sentire a Berlusconi il fiato sul collo.

Per confondere un po’ le acque si parla di media e multimedia, ma il cuore del business si chiama Rai 1, Rai 2, Rai 3. Quelle sono le spine nell’occhio di Berlusconi e un po’ anche di Murdoch. Dei Tg importa poco, con buona pace per la categoria.

Rinunciare alla competizione sull’audience vuole dire rinunciare a fare il proprio dovere di concessionario di servizio pubblico. L’audience non è il metro del Demonio, è la misura della capacità di essere apprezzato dal pubblico, cioè dagli italiani.

L’audience è anche lo strumento per cui la Rai può stare sul mercato della pubblicità senza svaccare i prezzi e, in azione combinata col taglio dei costi, sistemare i conti in modo da non gravare in modo eccessivo sui contribuenti.

Per questo staremo a vedere:

1. se davvero taglierà migliaia di posti e farà meglio di quanto avvenne ai tempi della Moratti, che ne fecero uscire qualche migliaio per poi riprenderne di più;

2. se davvero nominerà dei dirigenti senza prendere ordini da nessuno, dai partiti e nemmeno da…

3. se saprà ricondurre alla decenza le politiche commerciali della pubblicità Rai. Respirerà Berlusconi ma respireranno soprattutto gli editori di giornali e di internet che pagano e continuano a pagare gli scempi commessi sotto Gubitosi da Piscopo.

4. se davvero taglierà gli appalti, riserva di caccia dei politici di turno, da che la Rai è Rai. Ricordate il caso di Giancarlo Tulliani, il cognato di Fini?

5. se davvero saprà far quadrare i conti senza aumenti di canone e senza plusvalenze, come invece ha fatto Gubitosi.

Non credo ci sia molto da illudersi, così come la riforma della Rai tanto sbandierata è solo una rifrittura. Che si chiami direttore generale o amministratore delegato il capo esecutivo di un’azienda di cui non è padrone e che ha uno o più azionisti dominanti ha un riferimento formale che è il consiglio di amministrazione e uno sostanziale che è l’azionista di controllo.

L’azionista di controllo della Rai in questo momento si chiama Matteo Renzi, come ieri si chiamava Berlusconi. Berlusconi ha sempre rispettato i patti non scritti tra maggioranza e opposizione, ha fatto quello che ha voluto ma non nella riserva della sinistra, Tg3 e Rai3. Come si muoverà Renzi è una domanda non banale.

Intanto Renzi si sta muovendo con abilità e determinazione. Finge la riforma e mette un suo uomo di fiducia. Il futuro ci dirà quale sia il vero mandato di Renzi a Campo Dall’Orto. Non credo sia quello espresso nell’intreccio di parole farfugliate tra lui e Cerasa (Il Foglio).