110 senza lode, odissea del laureato Oreste Panzarella nell’università italiana

di Daniela Lauria
Pubblicato il 13 Febbraio 2019 - 12:51| Aggiornato il 17 Aprile 2020 OLTRE 6 MESI FA
110 senza lode, odissea del laureato Oreste Panzarella nell'università italiana

110 senza lode, odissea del laureato Oreste Panzarella nell’università italiana

ROMA – Bamboccioni, choosy, sfigati. I giovani laureati italiani se ne sono sentite dire di ogni dalla politica e dalla cosiddetta classe dirigente. A ridare loro voce e dignità è un libricino di 142 pagine, edito da Elemento 115 e scritto da un giovane laureato in Economia: il suo nome è Oreste Panzarella, classe 1983, nato a Catanzaro e trapiantato a Roma. 

Panzarella, che è oggi un manager in carriera e si professa padre e marito felice, si è laureato in Economia con “110 senza lode”, come recita eloquente il titolo del suo libro. Un breve excursus in cui ripercorre, un po’ flusso di coscienza, un po’ diario di formazione, la sua carriera universitaria, esame per esame.

Un libro rivolto soprattutto ai giovani studenti italiani, spesso bistrattati ancor prima di approcciarsi al mondo del lavoro. Figli di un sessantotto che si è rivelato addirittura più avaro con loro. In principio furono i “bamboccioni” di Tommaso Padoa Schioppa: era l’ottobre del 2007 e l’allora ministro del Tesoro (governo Prodi) non esitò a definire così i giovani laureati che faticavano ad affrancarsi dalla casa paterna. Cinque anni dopo il governo Monti, in piena crisi economica, infieriva in sequenza: Michel Martone, viceministro del Lavoro (“Se a 28 anni non ti sei ancora laureato, sei uno sfigato”); poi venne Annamaria Cancellieri (“I giovani vogliono il posto fisso vicino a mamma e papà”); infine la sciabolata di Elsa Fornero, “troppo choosy” o “schizzinosi” i giovani laureati italiani che non si accontentavano della prima offerta di lavoro che capitava loro a tiro. Senza tralasciare Giuliano Poletti, ministro del Lavoro nei governi Renzi e Gentiloni: per lui “prendere 110 e lode a 28 anni non serviva a un fico secco”.

In realtà l’esperienza di Panzarella insegna che un 110 senza lode, e pure fuori corso, sopravvissuto a professori umorali, assistenti dispotici e voti assegnati alla stregua di una lotteria, vale tanto di più di quel che è sulla carta. Il libro racconta un percorso avvincente, spesso incidentato, fatto di ostacoli e delusioni, ma anche di esilaranti considerazioni e inaspettate soddisfazioni. Una vera e propria odissea, ambientata tra le aule della facoltà di Economia dell’Università La Sapienza di Roma.

Non mancano episodi al limite della legalità, come quando con abile astuzia l’autore racconta di essere riuscito a bypassare il prof proverbialmente “carogna” riuscendo a verbalizzare un esame tecnicamente “non passato”. E’ qui che lo studente Panzarella si fa maturo e apprende che l’unico modo per districarsi in quella giungla fatta di baronie e docenti egocentrici è affilare l’ingegno più che concentrarsi sulla preparazione.

Sfogliando il libro viene da chiedersi come abbia fatto uno studente così “sventurato” ad arrivare alla soglia della lode. Ma è pur vero che di 50 esami affrontati, fra triennale e specialistica, l’autore ce ne racconta meno della metà. I più sciagurati, per così dire, quelli in cui si è fatto le ossa fronteggiando gli umori altalenanti dei docenti o la spietata voglia di assistenti “frustrati” di affermare il proprio ego.

Panzarella ci sbatte in faccia col sorriso i problemi cruciali e troppo spesso taciuti del sistema universitario italiano: dalla famigerata riforma Moratti, quella che ci ha costretti all’ineluttabile 3+2 “creando sotto esami di esami di un numero imbarazzante”, fino all’annosa piaga del baronismo. Alla fine, seppur privato della lode, il nostro eroe raggiunge il traguardo e porta a casa l’agognato pezzo di carta.

Un libro, insomma, da leggere e da ridere tutto d’un fiato ma anche uno spunto di riflessione su quella che dovrebbe essere la tappa universitaria per ognuno di noi, momento di passaggio decisivo dall’istruzione al mondo del lavoro. E’ qui che impariamo a rimboccarci le maniche nonostante centinaia di porte in faccia ed è qui che intrecciamo, forse, le relazioni più importanti della nostra vita.