Ex boss Giacomo Cavalcanti: “Aldo Moro non fu ucciso da Br”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Novembre 2015 - 06:00 OLTRE 6 MESI FA
Ex boss Giacomo Cavalcanti: "Aldo Moro non fu ucciso da Br"

Ex boss Giacomo Cavalcanti: “Aldo Moro non fu ucciso da Br”

NAPOLI – “Aldo Moro non è stato ucciso dalle Brigate Rosse“. Giacomo Cavalcanti, ex boss della camorra a Napoli, lo scrive nel suo ultimo libro “Anche gli angeli mentono“. Il libro, diffuso dall’editore Guida con prefazione di Samuele Ciambriello, segue una ricetta che come lo stesso Calvalcanti ha spiegato, prende “spunto dalla realtà” e a cui aggiunge “un pizzico di fantasia”.

Daniela De Crescenzo ne Il Mattino scrive che Cavalcanti, che ha scontato 15 anni di carcere, ora riparte come scrittore col suo “Anche gli angeli mentono” in cui ricostruisce vicende di cronache da Aldo Moro a Enzo Tortora:

“ricostruisce tante vicende di cronaca e tra le altre quella di Enzo Tortora, vittima, nel racconto dell’autore, dell’omonimia con un antiquario romano e degli sforzi fatti dai cutoliani per coprire il commerciante implicato nei loro traffici.

“I magistrati sarebbero caduti nella trappola tessuta dai malavitosi che per anni per coprire il loro rapporto con un antiquario romano l’avevano soprannominato «Portobello», proprio il nome della trasmissione del presentatore La tecnica è quella utilizzata già per in molti libri precedenti: fatti veri che danno il via a racconti. E la prima storia, quella che fa da filo al racconto è la sua, quella dell’assassino poeta, con una controversa biografia alle spalle.

Cavalcanti ha scontato 14 anni di carcere, è uscito dalla galera si è rifatto una vita, poi nel 2010 è stato condannato in primo grado ad altri 24 anni. È rimasto in cella altri dieci mesi, è uscito ed è stato assolto in Appello e in Cassazione. Adesso con la sua famiglia vive al Nord e si dedica alla scrittura.

In «Anche gli Angeli mentono» racconta come la sua vita sia stata travolta da un gesto sconsiderato: uccise l’uomo che aveva violentato la sua fidanzata trasformandosi così da studente dell’istituto di belle arti in «spesino del carcere di Poggioreale». Così la sua storia si lega a quella dei tanti personaggi che in quegli anni sfilarono nella stessa prigione. E i racconti si intrecciano restituendoci il clima di quegli anni, le tensioni, le angosce, le paure. Perché è proprio in quel periodo che si disegna la città attuale con le sue mille tensioni”.