Brigate nere, la macchia più nera del nero fascismo 305 pagine di storia di Dianella Gagliani

di Emiliano Chirchietti
Pubblicato il 9 Maggio 2018 - 06:27 OLTRE 6 MESI FA
Brigate nere Dianiella Gagliani

Brigate nere, la macchia più nera del nero fascismo 305 pagine di storia di Dianella Gagliani

Brigate nere, la macchia più nera del nero fascismo 305 pagine di storia di Dianella Gagliani. Quanta storia ci troviamo tra le mani ogni volta che apriamo un libro con su scritto Italia. A volte sono pagine belle, che gonfiano il petto d’orgoglio, mentre altre invece, affondano i cuori nella melma dalla vergogna. Nel caso di questo saggio [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui, Ladyblitz – Apps on Google Play] storico, “Brigate nere”, sono quelle tra le più tragiche ed orribili ad essere rilette e studiate: Repubblica di Salò, Mussolini, e la militarizzazione del partito fascista repubblicano.   

I fatti in sé sono noti: conseguentemente all’armistizio dell’8 settembre 1943, viene fondata la cosiddetta Repubblica di Salò, voluta dalla Germania nazista e guidata da Benito Mussolini. All’interno di questo «stato», vennero organizzate delle squadre d’azione con funzioni di lotta contro la Resistenza partigiana. Una di queste, le Brigate nere, entrò in vigore dal 1 settembre del 1944. Di quest’ultima creazione si interessa principalmente nello specifico questo libro. A scriverlo è Dianella Gagliani – docente di Storia contemporanea e Culture di guerra e pace presso l’Università di Bologna – per la casa editrice Bollati Boringhieri che lo pubblica nella collana “Saggi. Storia”, in una nuova edizione, novembre 2017, (la prima risale al 1999).

Il tema ovviamente è delicato e complesso – le ferite sono ancora aperte – ma la ricostruzione che l’autrice fa è attenta e legittimata da una documentazione originale, composta di lettere, circolari, appunti, relazioni, ordini e notiziari, nella quale la storia trova conferma e prende maggiore significato.

Stralci di queste prove sono riportati nel libro, e soprattutto in Appendice si può consultare ad esempio copia dell’atto costitutivo delle Brigate datato 21 giugno 1944, con il quale il Duce disponeva: “Decido che, a datare dal 1° luglio, la struttura politico-militare del Partito si trasformi in un organismo di tipo esclusivamente militare”. (pagina 273).

Non c’è dubbio che il contesto politico, contraddittorio e drammatico, nel quale questa decisione matura, ha pesantemente influito sulle scelte del regime, tuttavia, la Gagliani dimostra che sarebbe sbagliato far ricadere la responsabilità solo su Alessandro Pavolini, allora Segretario del Partito Fascista Repubblicano. Anzi: come per gran parte delle questioni che hanno interessato il Regime, anche su questa, Mussolini ha giocato un ruolo centrale; il Duce intravedeva nelle Brigate nere lo strumento più adeguato non solo per tentare di liquidare la Resistenza partigiana con la rappresaglia armata, ma anche per “rispondere alla necessità di raccogliere e disciplinare le residue forze del partito, riconducendo a unità ogni tensione interna[…]Il vessillo innalzato dalle Bn era, infatti, il fascismo” (pagina 51).

Le lettere di Pavolini “confermano il volto intransigente di Mussolini anche nei riguardi delle rappresaglie e il suo ruolo attivo e decisionale nella organizzazione armata del partito in funzione antipartigiana e terroristica” scrive l’autrice a pagina 40, togliendo dal campo tutte quelle letture storiche che vorrebbero un Duce, almeno nella «fase Salò», dimesso, quasi estraneo agli atroci eventi in corso.

La Repubblica sociale italiana fu un coacervo di anime fasciste (squadrista, nazionalista, rinnovatrice e sindacalista socializzatrice) in contrapposizione tra di loro, nel quale confluirono visioni e proposte vecchie e nuove, e dove soprattutto ritrovarono spinta e vitalità le componenti più violente e radicali. È nel secondo capitolo che questa «galassia fascista» viene fatta emergere in tutta la sua feroce e scellerata natura. “Si reclamava la maniera forte”, (pagina 80), non solo contro la Resistenza ma anche nei confronti di quegli italiani che si erano dimostrati indegni del rango di «grande popolo» come lo era quello tedesco, e nei confronti del quale c’era da recuperare, secondo la narrazione fascista, rispetto e stima.

Il 25 giugno del 1944, il Segretario Pavolini “inviava ai delegati regionali, ai commissari federali e ai capi delle provincie una circolare «segreta» con la quale dava istruzioni sulla costituzione del nuovo corpo”, (pagina 108); e se è vero che Mussolini non intendeva liquidare il Partito, è altresì giusto,  dice l’autrice nel terzo capitolo, affermare che fosse in corso una sua militarizzazione che l’avrebbe posto, per importanza e potere, al centro della Repubblica sociale italiana. È questo il momento nel quale la «svolta armata» contro gli antifascisti e afascisti segna una“escalation” inimmaginabile di terrore ed atrocità che si riversò nell’estate di sangue del 1944.

Ma i risultati stentarono ad arrivare: la Resistenza non segnava il passo, il rispetto nazista rimaneva chiuso nei treni merci che dall’Italia partivano stracolmi di uomini, donne, anziani e bambini verso i campi di concentramento, e la muraglia fascista tremava prossima al suo definitivo crollo.

Leggendo il quinto capitolo si ha accesso ad una serie di dati dai quali comprendiamo che la chiamata alle armi, pur se accompagnata da meccanismi organizzativi e burocratici estremamente operativi, rimase in parte inascoltata. Il regime attendeva una risposta significativa dalla base, ma le profonde divisioni interne ed uno spirito guerriero che venne meno, fecero ciondolare le adesioni tra le 11.000 e le 16.000 unità: un’onta per le aspirazioni del Duce e del suo, si direbbe oggi, cerchio magico.

Il fallimento della mobilitazione non fece altro che aggravare una situazione già compromessa. Le contrapposizioni tra le varie polizie interne si acuirono, e la pendolarità politica di Mussolini, che non seppe governare le profonde divisioni del regime, ebbe l’effetto di catapultare Salò in una realtà avulsa dal contesto nel quale si stava facendo la Storia: “Anziché un ordine di combattenti, la Rsi – e con essa il Pfr – finì per configurarsi quale levatrice di nuovi corpi di polizia e gigantesco apparato di servizi segreti, i cui lasciti all’Italia del dopoguerra andrebbero a fondo indagati” (pagina 204).

Fucilazioni di ostaggi, incarceramenti, torture, stragi di civili e persecuzione degli ebrei divennero cibo prelibato per le fauci del regime, scalpi da mostrare all’amico nazista, nei confronti del quale i fascisti di Salò provavano ammirazione e riconoscimento: “Per i fascisti dovevano sostanzialmente rispettarsi gli stessi codici validi per le SS, che, nei campi di concentramento, «avevano licenza di uccidere i prigionieri, ma non di derubarli»” (pagina 222).

Ma la caduta del regime si avvicina, e nell’ultimo capitolo, il decimo, gli accadimenti si susseguono: il 23 Aprile del ‘45 Pavolini ordina a tutte le Brigate nere di ripiegare su Milano, i gregari vengono abbandonati dai loro gerarchi, in pochissimi, qua e là, combattono, i più fuggono, e l’ultimo Mussolini si consegna ai tedeschi per essere difeso. “La morte antieroica del capo e dei gerarchi che lo avevano seguito, la fine ingloriosa – contrassegnata anche da numerosi e repentini travestimenti in borghese – dei dirigenti ai massimi livelli riducevano quella che si era proposta e imposta come l’élite, anzi l’aristocrazia della nazione, ad un insieme di uomini comuni, il cui primo impulso era di aver salva la vita” (pagina 266).

Nella notte tra il 25 aprile e il mattino del 26, i fascisti abbandonarono il comando delle Brigate nere presso la residenza di Villa Necchi, che passò così nelle mani della Resistenza.

“Brigate nere” Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, di Dianella Gagliani, Bollati Boringhieri, pp. 305, € 25,00