Cina/ Zhao Ziyang parla dalla tomba e definisce la repressione di Tiananmen ”una tragedia”

Vent’anni dopo la sua caduta e quattro anni dopo la sua morte, il leader riformista cinese Zhao Ziyang, ispiratore di riforme che introdussero l’economia di mercato in Cina e oppositore di burocrazia e corruzione, ha rotto dalla tomba il silenzio ufficiale sulla strage di Tiananmen a Pechino il 4 giugno del 1989 denunciando le alte sfere dell’apparato statale del Paese per l’eccidio, che definisce ”una tragedia”.

Defenestrato dall’incarico di segretario del partito comunista da Deng Xiaoping ed i suoi accoliti per essersi opposto alla sanguinosa repressione, fu confinato fino alla sua morte, avvenuta nel 2005, agli arresti domicilari, durante i quali ha segretamente registrato le sue memorie che poi riusci’ a far uscire dalla Cina. Dalle registrazioni è stato pubblicato un libro, per le stampe di Simon & Schuster. La Reuters ha ottenuto una copia del manoscritto.

La pubblicazione del libro, intitolato ”Prigioniero dello Stato”, potrebbe causare tensioni in Cina – a ridosso dele ventesimo anniversario della repressione – dove parlare delle proteste di Tiananmen è severamente proibito. Zhao respinge le affermazioni del governo cinese secondo cui le protete facevano parte di una cospirazione anticomunista. ”Sostenni a quel tempo”, scrive Zhao, ”che la gente voleva solo correggere i difetti del nostro sistema, e non rovesciarlo”.

Zhao elogia la democrazia di stampo occidentale e denuncia la repressione delle proteste, quando forze armate e carri armati intervennero sparando a dimostranti e passanti. Il filo conduttore delle memorie è la sua ascesa al potere e la sua caduta, assieme al difficile rapporto che aveva con Deng Xiaoping, che poi lo tradì. Zhao respinge la tesi secondo cui Deng era favorevole a riforme politiche che gli furono impedite dai conservatori.

”Deng ha sempre sostenuto la necessità della dittatura”, scrive Zhao, ”e le sue affermazioni sulla democrazia non erano altro che vuote parole”. Zhao aggiunge che nell’estrometterlo dal potere, Deng e l’allora premier Li Peng, alleati con i conservatori, schiacciarono sotto i piedi le norme dirette a prevenire un ritorno all’arbitraria dittatura di Mao Zedong.

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