ROMA – Se il titolo di questo libro scritto da Alberto Clô, “Energia e clima”, non ammette fraintendimenti su quale tematica affronti, “L’altra faccia della medaglia”, il sottotitolo, è altrettanto esplicativo nell’indicare l’approccio che l’autore utilizza per muoversi dentro al complesso mondo delle politiche ambientali.
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Professore ordinario di Economia Applicata e direttore della Rivista “Energia”, Clô privilegia una chiave di lettura che fa emergere con chiarezza gli aspetti positivi dei risultati ottenuti in questi anni in campo energetico e climatico, ma – com’è vero che la lingua batte dove il dente duole – non risparmia tuttavia al lettore un’analisi rigorosa su ciò che invece ancora preoccupa e che dovrebbe far riflettere le maggiori Istituzioni globali.
Il punto dal quale l ‘analisi prende avvio e vi ruota d’intorno per tutti e cinque i capitoli, senza mai allontanarvisi, è l’Accordo di Parigi, sottoscritto a fine 2015 da 196 Stati e considerato, almeno dalla prospettiva politicodiplomatica, un grande obiettivo raggiunto nella lotta al surriscaldamento globale.
Ma per quanto sia giusto gioire, nei primi due capitoli l’autore, a ogni buon conto, mette in guardia il lettore sulle difficoltà che ogni transizione energetica porta con se, e per farlo, ricostruisce la storia dei processi di sostituzione che maggiormente hanno segnato il passaggio da un’epoca ad un altra – su tutte la Rivoluzione Industriale – intrecciando questo percorso con le principali tappe che hanno aiutato la nascita e lo sviluppo della “sensibilità ecologista”.
Già in queste pagine, “L’altra faccia della medaglia”, si dimostra essere sottotitolo super azzeccato. Clô non risparmia infatti di riportare argomenti contro una visione radical green e soprattutto quando afferma che “nel 2016 per il terzo anno consecutivo le emissioni globali, diversamente da quanto previsto nei modelli, si sono stabilizzate nonostante una sensibile crescita economica. Negli Stati Uniti sono calate ai livelli dei primi anni Novanta a fronte di un’economia cresciuta da allora dell’80%” ( pagina 71) si pone in polemica con una visione catastrofista del futuro figlia di coloro che lui stesso definisce “profeti di sventura”.
Se qualcuno si fosse illuso dell’imminente arrivo di una società zero-carbon, dovrà ricredersi, perché il superamento delle fonti fossili, come lo è stato in passato per altre, non avverrà, in modo completo, prima di metà secolo, ovvero, dice Clô, quando saranno maturate tutte le condizioni tecnologiche, economiche e culturali che sottintendendo ad ogni nuova era energetica; guardando al futuro l’interrogativo che ci pone è chiaro: riuscirà un nuovo sistema di produzione e consumo a basso contenuto di emissione CO2 a garantire un circuito di sviluppo virtuoso?
In questo ragionamento il nesso tra uomo e natura è categorico e non può che cominciare, nel terzo capitolo, dal 1866 quando il biologo tedesco Ernst Haeckel conia il termine “ecologia”. La strada che porta a “Parigi” è lunga, ma seguendo le indicazioni che Clô sceglie di darci, è possibile cogliere la nascita e l’evoluzione di un legame che negli anni è divenuto sempre più stretto. Il primo parco nazionale al mondo nel 1872, i movimenti di opinione ambientale nei primi del ‘900, il primo decreto contro l’inquinamento atmosferico del 1953, i primi movimenti ambientalisti del 1969, il protocollo di Kyoto, fino ad arrivare agli accordi parigini del 2015.
In termini generali l’Accordo di Parigi può essere interpretato come la vetta più alta che le diplomazie ambientali hanno raggiunto, ma le debolezze in termini di merito e fattibilità che lo caratterizzano aprono a dubbi e perplessità che Clô non tarda a sottoporre al lettore.
“Parigi segna, in sostanza, l’affermazione di un nuovo paradigma nella politica climatica – ma meglio sarebbe parlare di rottura con quello precedente – ove a quel che era ambientalmente e scientificamente desiderabile si è sostituito quel che si ritiene politicamente e pragmaticamente fattibile” ( pagina 117). Non sfugge quindi lo scetticismo con il quale l’autore guarda a questo passaggio, evidenziando, nelle pagine ricche di dati che si susseguono, la vaghezza e l’inadeguatezza degli impegni presi.
L’Accordo di Parigi, “cornice vuota senza un quadro che disegni il futuro” ( pagina 125 ) non fa altro che confermare la fragilità della nuova transizione energetica; e nel quarto capitolo, dedicato al confronto in atto nel mondo scientifico tra pessimisti ed ottimisti, tra dogmi vecchi e nuovi, questa teoria trova ulteriori consensi. È questa la parte del libro dove l’eolico, il solare, e la generazione elettrica sono colti nella loro potenzialità e valorizzati secondo un approccio multidisciplinare; ma soprattutto è la narrazione della “shale revolution” che l’autore dice essere, contro la retorica ambientalista, il miglior modello di cambiamento del mondo energetico.
Clô non è in opposizione alla “green revolution” ma si capisce che il suo punto di vista guarda là dove quest’ultima non vede spazi di manovra. E nel quinto ed ultimo capitolo, “governare la transizione energetica”, prende forma l’imprevedibile idea della co-evoluzione, ovvero una fase nella quale dovrà esserci integrazione tra fonti fossili ed energie rinnovabili: “fino a quando le tecnologie non avranno raggiunto un livello di maturazione tale da sopperire alle attuali intermittenze delle rinnovabili nella generazione elettrica, vecchio e nuovo dovranno necessariamente coesistere” ( Pagina 215 ).
Il 2050 non è poi così lontano; nell’attesa “cominciamo a cambiare noi stessi e il nostro sistema di valori, che non possono essere i medesimi che stanno mettendo a rischio le sorti del pianeta. È questo il vero nocciolo della questione” ( pagina 222).
“Energia e clima. L’altra faccia della medaglia”, di Alberto Cló, Il Mulino, pp. 251, € 23,00