Genova, ponte Morandi, come è nato il libro di Manzitti, Donelli racconta

di Massimo Donelli
Pubblicato il 29 Giugno 2019 - 12:08 OLTRE 6 MESI FA
Genova, ponte Morandi, come è nato il libro di Manzitti, Donelli racconta

Genova, ponte Morandi, come è nato il libro di Manzitti, Donelli racconta (A sinistra Franco Manzitti, a destra Massimo Donelli)

ROMA – Come si fa a scrivere un libro e farselo pubblicare? Ora ve lo spiego. Prendete due genovesi che più diversi non si può. Uno, Franco, vive nella Superba. L’altro, Massimo, a Milano. Non hanno mai lavorato assieme. Ma hanno tanto in comune. Il giornalismo, per esempio (quello di una volta). La stessa malattia incurabile (il Genoa). E un amico, Marco, che è per entrambi Maestro e Fratello Maggiore (e perfino un po’ Papà). Quanto basta, quindi, per renderli fratelli, non di sangue ma d’inchiostro.

Vien giù il Ponte Morandi. È il 14 agosto 2018. Franco non ci pensa su un minuto: taccuino, biro, vado sul posto. Massimo non si stacca dal televisore: scusate, ma oggi la spiaggia proprio no. Due cronisti concentrati sul fatto. Che per loro è molto più di un fatto. Da bambini – e piccoli sciovinisti genovesi – si sono inorgogliti per quel ponte così maestoso e bello. Da adulti e ormai in pensione – ma sempre più genovesi e sempre più orgogliosamente sciovinisti – l’hanno visto venir giù sotto gli occhi della Madonna della Guardia.

Non si parlano, quel giorno. Eppure entrambi pensano che gli occhi della Madonna si siano posati sulla nefandezza di un crollo annunciato e abbiano contenuto le dimensioni della tragedia: che cosa sarebbe successo, infatti, se il Morandi avesse ceduto il 14 settembre 2018 alle 8,30 di mattina, orario di punta. anziché il 14 agosto 2018 alle 11,36 mentre diluviava su poche auto e pochi TIR in transito? I morti sarebbero stati ben più di quei 43 (riposino in pace).

Il giorno dopo, Ferragosto, Franco e Massimo sono al telefono. Franco: “Ho deciso di raccontare tutto. Il prima e il dopo. Il prima perché del ponte mi sono occupato per anni. E il dopo perché vado lì, guardo, parlo con la gente, prendo appunti e poi scrivo. Non ho un giornale, ma scrivo”. Massimo: “E perché non fai un libro? Dai, scrivi un libro! A trovare l’editore ci penso io”.

Franco, nato borghese, ha il tipico understatement genovese: “È un’idea”. Massimo, figlio di portuale, l’intraprendenza del ragazzo di periferia: “Fallo!”. Dopo 203 giorni, il 6 marzo, alle 10,30 i due varcano la porta carraia della Mondadori. Parcheggiano. E si infilano nel magnifico palazzo disegnato dall’architetto brasiliano Oscar Niemeyer per salire al quarto piano. Il tempo di fare qualche convenevole con Virginia Ponciroli, editor di Piemme, e poi in quindici minuti, zac: titolo fatto, foto di copertina scelta.

Titolo: Cronaca di un crollo annunciato, Genova 14 agosto 2018. Foto: il ponte spezzato, il camion della Basko a pochi metri dall’abisso. Alle 11,10 sono già fuori. Felici come due ragazzini. E da bravi genovesi decidono di festeggiare con una bella mangiata di pesce. Ma, prima, Massimo regala un tour di Milano a Franco. E gli occhi che scrutano ora la casbah di via Padova ora l’archi-glamour di piazza Gae Aulenti sono quelli dei cronisti alla curiosa scoperta della città più europea d’Italia.

Poi, a tavola. Il posto è strano. A partire dal nome. Lo stesso di un negozio chic di Genova: Pescetto. Un ristorante? Sì, ma dove, prima di sedersi, si ordina in piedi ad un bancone in marmo carico di animali marini. E si decide lì, all’impronta, se mangiarli fritti, alla piastra, in umido. Poi paghi, ti danno un tavolo, un numero e ti siedi. Quando la comanda è pronta, dalla cucina urlano il tuo numero, tu ti alzi e vai a servirti direttamente dal cuoco. Franco è divertito. Massimo gongola. Mangiano e chiacchierano, chiacchierano e mangiano. Un’ora e mezza dopo si salutano. E non si vedranno più per 112 giorni.

Martedì 26 giugno, con 34,5° all’ombra, Massimo parte da Milano per raggiungere Franco a Genova. Sono attesi entrambi nel salone d’onore di Palazzo Tursi, sede del Municipio. Lo raggiungono scendendo da corso Magenta al Portello con una vecchia, tenerissima funicolare e, poi, percorrendo a piedi la via Garibaldi. Non si sono mai sentiti così genovesi. Mai.

E non mancano di notare che sul frontone del loggiato di Tursi Genova è ben distinta da Sampierdarena, proprio come in una vecchia stampa che Marco esibisce al comune amico Sandro e a ogni altro tifoso della squadra della delegazione ovest, per ricordare che il club calcistico della Superba è uno solo, quello rossoblù.

Fanno i disinvolti, guardando il ritratto di Cristoforo Colombo e quello di Marco Polo. Ma quando si ritrovano seduti sotto il gonfalone con San Giorgio e il drago, dov’è appuntata la medaglia d’oro della Resistenza, beh, i due ‘ragazzi’ si emozionano.

Ma guai a dirselo (lo scrivono qui, per papà Marco, che a quello lì musse non ne puoi raccontare, tanto ti becca…). C’è Mario Paternostro che officia questa messa laica molto genovese. E c’è il sindaco Marco Bucci, tornato dagli States in modalità l’uomo giusto al posto giusto.

Come è andata? Benissimo, lo spiega Franco nell’articolo qui a fianco. Massimo ha perfino parlato in genovese. E l’hanno subito agganciato quelli dell’associazione ‘A Cumpagna’ perché tenga una conferenza – in dialetto, sia chiaro – dopo l’estate. Belin! Gran finale a casa di Franco, con vista della città a 360 gradi e deliziosa cena in terrazza. Zena. What else?