Giorgio Caproni, chi è poeta di Versicoli quasi ecologici. Analisi del testo maturità 2017

di Redazione Blitz
Pubblicato il 21 Giugno 2017 - 09:11| Aggiornato il 21 Aprile 2020 OLTRE 6 MESI FA
Giorgio Caproni, chi è poeta di Versicoli quasi ecologici. Analisi del testo maturità 2017

Giorgio Caproni, chi è poeta di Versicoli quasi ecologici. Analisi del testo maturità 2017

ROMA – Giorgio Caproni è il poeta dell’analisi del testo della prima prova della maturità 2017: agli studenti maturandi è stata sottoposta la sua poesia “Versicoli quasi ecologici“.

Wikipedia ci spiega chi è Caproni:

Giorgio Caproni nasce a Livorno il 7 gennaio del 1912. È probabile che la famiglia Caproni abbia ascendenze germaniche e che un lontano parente, Bartolomeo Caproni, lo zi’ Meo, fosse un “contadino e consulente linguistico” del Pascoli. Il padre di Giorgio, Attilio, figlio di un sarto che aveva fatto il garibaldino, era nato a Livorno e lavorava come ragioniere nella ditta dei Colombo, importatori di caffè: era un appassionato di musica “amava la Scienza con la S maiuscola. Il suo Dio, se così posso dire, era la Ragione, sempre con la R maiuscola. In materia di religione il suo atteggiamento era quello di un’assoluta indifferenza. La madre, Anna Picchi, “figlia di Gaetano Picchi, guardia doganale ed “ebanista” a tempo perso, e di Fosca Bettini, frequentò da ragazza il Magazzino Cigni, una delle case di moda allora in auge a Livorno […]. Fu donna d’ingegno fino e di fantasia, sarta e ricamatrice abilissima, suonatrice di chitarra, ecc. Amava molto frequentare i “circoli” e ballare”.

Gli anni tra il 1915 e il 1921 sono “anni di lacrime e miseria nera”: “dopo il richiamo alle armi di mio padre […] capitombolammo in via Palestro, in coabitazione con la bellissima Italia Bagni nata Caproni e suo marito Pilade, massone e bestemmiatore di professione nonché barbiere dirimpetto allo Sbolci, arcifamoso fra gli scaricatori per i suoi fulminanti ponci al rhum”. Caproni impara a leggere da solo, a quattro anni, sulle pagine del Corriere dei Piccoli, frequenta l’Istituto del Sacro Cuore “dove feci la prima e la seconda elementare tra i mi rallegro di Suor Michelina, lei minacciandomi ogni volta di levarmi il distintivo di guardia d’onore”; “le suore mi riempivano di santini. Erano molto affettuose. Ma il buon Dio che cercavano di farmi amare passava su di me come l’acque su una pietra dura”. Frequenta la terza elementare alle comunali Gigante “dove il maestro Melosi, sadicamente, si divertiva a farmi piangere sul De Amicis”[3]. Al termine della prima guerra mondiale la famiglia si trasferisce nella casa più grande di via de’ Lardarelle. Proprio a proposito della guerra Caproni ha scritto “anni duri in cui non ancora decenne vidi ammazzare la gente per la strada”. Rievoca poi con nostalgia le passeggiate domenicali con il padre “Erano i tempi in cui mio padre Attilio, ragioniere, mi portava con mio fratello Pier Francesco agli Archi in aperta campagna, o – se d’estate – ai Trotta o ai famosi bagni Pancaldi, quando addirittura, un po’ in treno e un po’ in carrozza, non ci spingevamo fino a San Biagio nella tenuta di Cecco, allevatore e domatore di cavalli, bravissimo in groppa ai più focosi”. Col padre si reca al teatro degli Avvalorati dove vede Mascagni dirigere la Cavalleria rusticana. È affascinato dai treni e sogna di fare il macchinista “con mio fratello trascorrevo ore, nei nostri liberi pomeriggi livornesi, sul cavalcavia nei pressi dell’acqua della Salute, gli occhi incantati sul rettifilo del binario dove, fra poco, o come per prodigio, sarebbe apparso il direttissimo delle 16 e 17 o il rapido (l’espresso, si diceva, allora) tutto vagoni-letto delle 19, che fascinosamente veniva chiamato Valigia delle Indie”. A testimonianza di questa passione, un trenino elettrico Rivarossi resterà per sempre in bella vista nel suo studio e con i suoi allievi, a scuola, userà i trenini per farli imparare giocando. Precoci le prime letture “a Livorno, quando ancora facevo la seconda elementare, scoprii fra i libri di mio padre un’antologia dei cosiddetti Poeti delle origini (i Siciliani, i Toscani). Chissà perché mi misi a leggerli con gusto, insieme con il “Corriere dei piccoli)”. Risale a questi anni anche il primo incontro con la Commedia dantesca che il padre comprava a dispense in “edicola, nella edizione Nerbini di Firenze con le splendide illustrazioni di Doré”. È probabile che già a Livorno, Caproni abbia preso quello che chiama “il baco della letteratura” e abbia scritto il primo tentativo i racconto (“un racconto sul diavolo”, intitolato Leggenda montanina, ancora conservato fra le sue carte). Del suo carattere malinconico già mostratosi durante l’infanzia “ero un ragazzaccio, sempre in mezzo alle sassaiole, quando non me ne restavo incantato o imbambolato. Non ero molto allegro: tutto “mi metteva veleno” in partenza: mi noleggiavo per un’ora la barca o la bicicletta, e già vedevo quell’ora finita”. Ne soffrivo in anticipo la fine”.

A proposito di Livorno scriverà: “esisterà sempre, finché esisto io, questa città, malata di spazio nella mia mente, col suo sapore di gelati nell’odor di pesce del Mercato Centrale lungo i Fossi e con l’illimitato asfalto del Voltone (un’ellisse contornata di panchine bianche e in mezzo due monumenti alle cui grate di ferro sul catrame io potevo vedere, sotto il piazzale immenso schiacciando ad esse il viso fino a sentire il sapore invernale del metallo l’acqua lucidamente nera transitata dai becolini pieni di seme di lino”.