“Infernapoli”: il noir di Peppe Lanzetta, Gomorra in agrodolce

Pubblicato il 25 Maggio 2011 - 13:03 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Peppe Lanzetta aveva cominciato nei primi anni ’80 a teatro, anticipando i tempi dei tanti attori-autori narratori, proponendo una galleria di ritratti, monologhi, squarci sulla realta’ della sua Napoli rumorosa, sfatta, brutale, ma anche musicale, viva e e piena di rabbia, dedicando quei ”lampi e tuoni dal Bronx napoletano” a Lenny Bruce e a John Belushi. Da allora ha fatto l’attore per tanti registi, che vanno da Tornatore a Abel Ferrara e ha pubblicato alcuni volumi di racconti.

Roberto Saviano, dedicandogli una copia del suo ”Gomorra”, dandogli una sorta di primogenitura, ha scritto ”che per primo ha messo viso e mani all’inferno”, tanto che oggi Lanzetta intitola ”InferNapoli” questo maturo romanzo, inevitabilmente noir, appena arrivato in libreria. Un inferno in cui, per esempio le fiamme e il fumo si alzano alti dal molo Immacolatella del porto sino a invadere Piazza Municipio, perché stanno bruciando sei container cinesi provenienti da Shangai, e Vincent Profumo, con la vestaglia tigrata e sotto uno slip leopardato, osserva tutto col binocolo, un bel sigaro in bocca, Sinatra che canta dal lettore Cd, ridendo di gusto, contento.

Profumo e’ un boss, uno dei piu’ temuti e feroci, della camorra, un omone di oltre un quintale, protagonista di questo libro. E l’inizio e’ un chiaro omaggio a Gomorra che inizia proprio con lo sguardo sul molo dove stanno scaricando i container provenienti dalla Cina. Profumo, devoto a padre Pio, come spesso questi padrini, ama la lirica, ha una passione per la Callas (capace di farlo piangere), tanto da aver chiamato Maria tutte e tre le sue figlie (Maria Sole, Maria Luna e Maria Stella), e ama la propria famiglia e vive in un bell’attico panoramico pieno di bei quadri di artisti contemporanei, il tutto conducendo un’esistenza che pare uscita da un film di Quentin Tarantino.

E Lanzetta non dimentica mai, sin dall’inizio, di introdurci nei piccoli particolari quotidiani della sua vita, dalla biancheria che porta e la collezione di scarpe al piacere di bere cedrate e Aperol, magari insieme e con una punta di menta, dallo spruzzarsi contuinuamente di profumo, anche mentre cuicna usando tanto aglio o frigge: ”Sembrava la caricatura di un boss dei telefilm americani di quarta categoria. invece era un vero boss. Uno potente”. Insomma ci presenta innanzitutto un uomo, per certi versi simpatico, fatto di debolezze, ipocondriaco, semi impotente, con tante piccole manie, paure, ragionamenti e fantasie, che ce ne fanno capire bene la psicologia e sono l’altra faccia, il complemento della sua ferocia, di una intima debolezza che si ammanta di violenza.

I guai cominciano quando arriva a Napoli la nuova e durissima mafia cinese e lui e’ costretto a confrontarsi con quello che chiama Maozzetung, cosi’ che il sangue comincia a scorrere e i morti chiamano i morti in un nero scontro che pare non trovare una via d’uscita, visto che anche un ictus che coglie Profumo non riesce a mettere la parola fine. Certo, attorno a questo ”pover’uomo” tutto va in malora, con le figlie che combinano brutti pasticci, la moglie Felicita, che non riesce piu’ a ottenere le attenzioni e il calore che vorrebbe dal suo uomo, lo tradisce con un giovane dal bel fisico possente, senza contare appunto i cinesi, anzi il Cinese. E come l’eroe di un film in costume, continua a voler reggersi in piedi mentre intorno tutto sta crollando, solo e sempre piu’ spietato diavolo di un inferno in rovina. Non raccontiamo come va a finire, ovviamente, ma citiamo solo le due brevi farsi finali del romanzo: ”La vita continua. E la guerra pure..”.