Internet “ucciderà” i giornali? Enrico Pedemonte è ottimista: “L’editoria deve solo rinnovarsi”

Pubblicato il 31 Dicembre 2010 - 10:40 OLTRE 6 MESI FA

Quali effetti produrrà Internet sull’editoria “classica”? Secondo i catastrofisti, porterà alla scomparsa dei giornali, se non addirittura del giornalismo, per come è stato inteso. Ma c’è anche una tesi meno “apocalittica”, secondo la quale sarà soltanto necessario rimodulare i canoni del giornalismo. Questa seconda tesi è quella sostenuta da Enrico Pedemonte nel suo libro “Morte e resurrezione dei giornali”.

Pedemonte è stato per oltre sei anni corrispondente de “L’Espresso” da New York, proprio negli anni cruciali per il mondo dei giornali, scosso dai webmedia che, a partire dagli Usa, hanno cominciato a soppiantare i tradizionali organi di stampa.

Ha scritto un libro snello, interessante, visionario e anche critico, come deve essere un buon lavoro giornalistico, ma sempre equilibrato e pacato, un libro che forse meritava qualcosa di più di una affrettata recensione, contenuta in una colonnina, sul suo ex giornale e ancor meno il silenzio di Repubblica, dove Pedemonte ha concluso la carriera, come capo dell’edizione di Genova, prima di essere prepensionato. Misteri dei giornali.

Pedemonte è partito da un assunto, come ha spiegato nella prefazione del volume: “La tesi di fondo è che la moltiplicazione dei canali attraverso i quali fluiscono le news, associata a forme sempre più raffinate di interattività, stia cambiando in modo ineluttabile il nostro rapporto con le notizie. In un mondo che consente di personalizzare l’accesso all’informazione il futuro dei mass media è incerto”.

Ovviamente l’incertezza spaventa, e non poco, una categoria “corporativista” come quella dei giornalisti: “In tutti i paesi del mondo avanzato sperimentano sulla propria pelle ondate di licenziamenti, prepensionamenti di massa, diminuzioni di stipendio. Gli editori vedono calare il valore della loro proprietà. I più catastrofisti temono un indebolimento della democrazia perché considerano i giornali un’insostituibile espressione della libertà e della trasparenza”.

Ma per Pedemonte i due concetti da cui bisogna ripartire per la “riorganizzazione” del settore sono “il controllo del potere” e “l’iperlocalismo”. Se sul primo punto il Web sembra dare nuova linfa al giornalismo, perché riesce ad aggirare più agevolmente i problemi legati alla “censura” e al “controllo dei potenti”, il nodo da sciogliere è quello della “localizzazione della stampa”. Infatti, spiega Pedemonte, “manca qualcuno che verifichi dove i fatti avvengono”.

Il punto di partenza per il giornalismo, che Pedemonte suggerisce, dunque, è la rifondazione a partire da nuovi ambiti, e che emerga una nuova cultura giornalistica, un giornalista che sappia definirsi alla luce dei cambiamenti in corso. Per questo motivo la soluzione individuata da Pedemonte è quella dell’ “ipergiornale”: un giornale nel quale la partecipazione dei lettori (che sono anche cittadini) diventa un ingrediente fondamentale.

Infatti, sottolinea il giornalista, “sul Web ognuno crea la sua edicola personale. Il giornale come manufatto complesso viene scorporato nelle sue singole unità. I lettori usano le news come merce di scambio sociale: quando trovano un articolo interessante lo segnalano agli amici via Web. Quelli di Google parlano di “unità atomiche dell’informazione””.

Secondo Pedemonte, dunque, la cosa fondamentale è che i giornali continuino a comunicare per non perdere la propria funzione sociale: “Bisogna salvare due cose indispensabili alla società e alla democrazia: il giornalismo investigativo che serve a controllare il potere, e il giornale come punto di incontro delle comunità. Per prima cosa è necessario riconoscere che i giornali svolgono un servizio pubblico: le ricerche internazionali dicono che il 95 per cento delle notizie le trovano i giornali di carta, le tv si limitano a ridistribuirle. Chi troverà le notizie se i giornali muoiono? E poi: gli italiani passano oltre sei ore al mese su Facebook e 43 minuti a leggere news. Il bisogno primario è comunicare. I giornali devono diventare strumenti di comunicazione, riacquistare la loro centralità sociale, altrimenti sono fritti”.