Intervista con Mario Andreose, “mago” dei libri italiani, lanciò Il nome della Rosa, guarì aziende decotte

di Antonello Piroso *
Pubblicato il 24 Gennaio 2021 - 21:53 OLTRE 6 MESI FA
Intervista con Mario Andreose, "mago" dei libri italiani, lanciò Il nome della Rosa, guarì aziende decotte

Intervista con Mario Andreose, “mago” dei libri italiani, lanciò Il nome della Rosa, guarì aziende decotte

Intervista con Mario Andreose, il cui libro, “Voglia di libri”, passi il gioco di parole, è stato appena pubblicato. Ne è autore Antonello Piroso per la Verità.

Gentiluomo perbene, classe 1934, “più discreto del banchiere Enrico Cuccia”. Con un’impareggiabile conoscenza del rutilante mondo dell’editoria nostrana, meccanismi e retroscena, un fiuto sopraffino per opere e autori, italiani e stranieri. Il veneziano Andreose ha fatto la classica gavetta. 

Correttore di bozze, traduttore, redattore, editor, direttore editoriale del gruppo Fabbri, direttore letterario della Rcs libri, azionista e attuale presidente della Nave di Teseo.

La casa editrice Nave di Teseo è stata fondata da Elisabetta Sgarbi e Umberto Eco. Di cui Andreose è stato anche agente per i perigliosi mercati internazionali. 

Questo suo volume, Voglia di libri, conferma quel che si dice di lei: un letterato prestato all’editoria. E per fortuna sua e di noi appassionati, un giornalista mancato. 

Avevo fatto la posta a Gaetano Baldacci, direttore de Il Giorno, che a Venezia si aggirava tra l’Excelsior e il Palazzo del Cinema, e lui, forse anche per liberarsi dell’educato quanto insistente questuante, mi diede appuntamento a Milano. Il tempo di organizzare la trasferta, arrivo in via Settala, sede del giornale, per scoprire che Baldacci…non è più direttore. 

Bella sfortuna. Ma come dicono i cinesi, ogni crisi è un’opportunità di cambiamento.

Che si presenta poco tempo dopo. Mentre traccheggiavo bazzicando Brera, il quartiere bohémien per antonomasia, epicentro il bar Jamaica. Sotto forma di concorso per entrare come correttore di bozze presso la neonata “Il Saggiatore” di Alberto Mondadori. Figlio di Arnoldo e già direttore editoriale della casa editrice di famiglia. Ci rimarrò undici anni, arrivando a esserne direttore editoriale.

Nel ’68 la vostra sede di Corso Europa fu occupata dagli studenti in lotta.

Alberto Mondadori non si capacitava che proprio il Saggiatore, “obiettivamente di sinistra”, fosse oggetto di contestazione. Poi nel ’69, in un pomeriggio di dicembre, un boato scuote le finestre, pensai a un’esplosione provocata dal gas, era invece la strage di piazza Fontana. 

Così decide di cambiare aria e trascorre quasi un decennio a Verona. Dove, alle dipendenze di Mario Formenton, genero di Arnoldo, lavora allo sviluppo organizzativo e produttivo delle Officine grafiche. Occupandosi poi anche del settore editoriale ragazzi. Quindi, nel 1982, approda alla Bompiani, ma di sponda.

Un giorno mi telefona Erich Linder, il più potente tra gli agenti letterari, che -sapendo della mia irrequietezza- mi segnala che c’erano movimenti proprietari nel Gruppo Fabbri, domandandomi se fossi interessato alla carica di direttore editoriale. 

Gruppo finito nell’orbita Fiat, Bompiani compresa, dopo che il fondatore l’aveva venduta a Carlo Caracciolo. Il quale l’aveva ceduta all’Ifi del cognato, l’avvocato Gianni Agnelli.

Agnelli aveva avuto la Fabbri come corrispettivo di un prestito non esigibile. “Dentro” c’erano Bompiani, Sonzogno ed Etas. Caracciolo aveva deciso di orientarsi verso i giornali, Repubblica e Espresso. [In realtà le cose si svvolsero in modo diverso. La Fabbri  non entrò nella società Editoriale Finanziaria, 50-50 Agnelli-Caracciolo, fino a quando Caracciolo non ne uscì. Ne uscì non per scelta, ma per imposizione di Fanfani]. Quando i risultati di gestione separata della Bompiani divennero insoddisfacenti, mi fu chiesto di farmene carico, in aggiunta al resto.

E lì Andreose diventa l’uomo most wanted, quando il successo de Il nome della rosa esplode oltre confine.

Sì, ma non subito. Dopo aver scontato rifiuti e offerte al minimo. La casa editrice francese Seuil, che pure aveva pubblicato l’Umberto Eco saggista, lo cassò come romanziere. E così se lo assicurò Grasset. Negli Usa, se lo garantì Helen Wolff per Harcourt Brace con un anticipo di appena 6.000 dollari, mentre per il Regno Unito Secker se lo aggiudicò con un anticipo di 4.000 sterline.

Bruscolini. È vero che Eco voleva pubblicarlo con Franco Maria Ricci? 

Sì, la prima edizione, in modo da saggiare il terreno e vedere come avrebbero reagito i lettori. Fu Valentino Bompiani che, sia pur presidente onorario dopo la cessione, s’impose. A oggi, sono state vendute oltre 50.000.000 di copie, di cui 7.000.000 in Italia. Ma il computo è difficile: fioccarono le edizioni pirata, una perfino in lingua araba, con il titolo Sesso in convento.

Be’, qualche addentellato con la trama ce l’aveva pure…Dopo di che, sistemaste i sospesi, per dir così. 

Dopo Il nome della rosa, gli anticipi richiesti e pagati per i romanzi successivi furono a sette cifre. E la Seuil, dove -in occasione dell’uscita del Pendolo di Foucalt-, si cosparsero il capo di cenere chiedendo una seconda chance, fu “rimbalzata”. Da Eco in persona.

Alcuni aneddoti su Eco mi ricordano il Cavaliere Nero di Gigi Proietti. Scrisse per l’Espresso, di cui era prestigioso collaboratore, un articolo inferocito perchè sullo stesso era uscita la cronaca di una cena a casa di Inge Feltrinelli, presenti lui, Günter Grass e un giornalista della testata. I fan lo difesero (“una questione di civiltà”), i detrattori lo accusarono di eco-centrismo: “Il delitto di lesa maestà è stato abolito da tempo”.

Si sentì tradito da una persona con cui aveva consuetudine, che aveva frequentato anche casa sua perchè conosceva il tedesco. Ritrovarsi spiattellate sul giornale considerazioni o battute fatte in privato, in una dimensione diciamo “intima”, non credo sia piacevole per alcuno.

A proposito di un’altra cena con Eco. Volevate festeggiare l’arrivo di Leonardo Sciascia in Bompiani. Anche lì, un mezzo disastro.

Ci ritrovammo a casa di Valentino Bompiani, e c’era anche Eco. Solo che Bompiani era sordo, Sciascia in sostanza rimase muto, e Eco faceva battute che Sciascia non dimostrava di cogliere. Il giorno dopo sondai Bompiani: che impressione ha avuto di Sciascia? E lui: mah, che le devo dire, mi sembra silenzioso come un questore siciliano.

E’ vero che Stanley Kubrik voleva fare un film dal Pendolo?

Sì, suppongono fosse attratto dalle atmosfere del romanzo, l’esoterismo, i circoli segreti che poi a ben guardare rappresenterà in Eyes wide shut. Solo che Eco si oppose: visto che anche Il nome della rosa era diventato un film, non voleva trasformarsi in uno “scrittore per il cinema”.

Lei ha lavorato anche con Alberto Moravia, 8 anni “intensi e felici”. E’ stato amato ma anche detestato per via del suo cosiddetto “potere letterario”. La vedova di Giuseppe Berto, apprezzato da Ernest Hemingway e autore di un capolavoro come Il male oscuro, fu decisamente tranchant: parlava della “mafia di Moravia”.

Il suo presunto clan consisteva in un gruppo di persone che si ritrovava al bar Rosati a Roma. E che aveva in Moravia un punto di riferimento, riconoscendone il carisma. Mentre nel bar Canova di fronte si riunivano i “destri”. Chiaro che due grandi scrittori di carattere come Berto e Moravia non fossero destinati a intendersi.

Come accade talvolta anche tra letterati e mecenati. Vedi la vicenda di Palazzo Grassi a Venezia.

Per gli Agnelli era il luogo di richiamo delle elites intellettuali, sociali e politiche. Ma uscito dalla Fiat Cesare Romiti e morto l’Avvocato, Umberto Agnelli decise di sbarazzarsi di tale fiore all’occhiello. Gli chiesi un incontro: “La Ferrari ha appena vinto il campionato mondiale di Formula 1, la Juventus lo scudetto, non c’è due senza tre, teniamoci il tricolore dei musei e della cultura”. Lui mi ascoltò e poi con garbo mi disse che ormai il dado era tratto. E dire che la gestione annua di Palazzo Grassi valeva meno dello stipendio di Bobo Vieri, così almeno mi riferì un manager del gruppo. 

La Nave di Teseo nasce dopo il rifiuto di Eco e Elisabetta Sgarbi di confluire nella Mondazzoli, il superagglomerato di Mondadori e Rizzoli. Repubblica, in occasione della presentazione a casa Sgarbi, riportò una battuta. Loro e Marina Berlusconi erano “antropologicamente incompatibili”. Inevitabili gli strascichi. C’è mai stato un chiarimento?

Elisabetta e Marina Berlusconi mi risulta si siano incontrate, anche perché quell’espressione infelice era stata scritta autonomamente dal giornalista. Il punto in realtà era un altro. Quando la Mondadori annunciò di voler acquisire Rcs libri, Eco scrisse all’Antitrust per segnalare l’impatto che tale concentrazione avrebbe avuto sul mercato. E i danni sulla filiera editoriale complessiva del nostro Paese. 

Marina Berlusconi sostenne che volevate portarvi via la Bompiani, e che per questo dichiaraste guerra.

Be’, non dovevamo avere tanto torto visto che poi l’Antitrust impose la cessione. Noi ci illudemmo di poterla rilevare per restituire ai nostri autori il loro catalogo. Ma potevano i Berlusconi perdonare i secessionisti fautori dell’intervento dell’Antitrust?

E così preferirono cederla a Giunti, ho capito. Chiudiamo con lo sport e Gianni Brera, sorvolando sul tennis e il giudizio sardonico con cui liquida il mio amico Adriano Panatta (“a cui era capitato di battere Bjorn Borg”), anche perché lei denuncia la sua estfilia, la predilizione per giocatori dell’est. Ilie Nastase, Ivan Lendl, Novak Djokovic. Brera le propose un romanzo per Bompiani, Il mio vescovo e le animalesse. All’incontro lei si fece accompagnare dalla neocapo ufficio stampa Elisabetta Sgarbi. Brera confermò il suo talvolta ruvido approccio lumbard.

(ride) Esatto. Elisabetta, più timida di quello che sembra, con addosso un bianco e leggero vestito estivo, una creatura preraffaellita alla Edward Burne-Jones, stava per sedersi su una poltrona del tinello, quando lui la mise a suo agio “alla Brera”.

Come l’apostrofò, “Tosa, le donne si accomodano sulle sedie”?

Per non smentire la sua fama di provocatore di gusto schiettamente “plebeo”, le si rivolse con un premuroso: “Signorina, stia attenta alle piattole”.

  • da la Verità