Roosevelt avrebbe potuto fermare Stalin? Guerra Fredda evitabile? Forse, ma…

di Daniela Lauria
Pubblicato il 17 Febbraio 2015 - 10:00| Aggiornato il 21 Aprile 2020 OLTRE 6 MESI FA
La Guerra Fredda non era inevitabile: se Roosevelt avesse potuto fermare Stalin

Da sinistra a destra: Stalin, Roosevelt e Churchill

WASHINGTON – Se Franklin Delano Roosevelt (FDR come lo chiamano gli americani) fosse vissuto più a lungo ci saremmo potuti risparmiare la Guerra Fredda? Il suo carisma, unito al suo grande ascendente su Stalin e alla sua capacità di aggirare i problemi avrebbero potuto fermare mezzo secolo di tensioni, soprusi e stermini di massa in nome di mere contrapposizioni ideologiche? Se lo è chiesto Frank Costigliola, noto storico americano e docente dell’Università del Connecticut, nel suo libro Roosevelt’s Lost Alliances (Le alleanze perdute di Roosevelt). Un libro che vale la pena rileggere sullo sfondo dei recenti avvenimenti, dalla rinascita del neonazismo in Europa alla guerra fratricida in Ucraina.

Nella primavera del 1945, quando la Seconda Guerra Mondiale si avviava a conclusione, la forma del mondo postbellico si andava imperniando sulle politiche personalistiche di tre personaggi imperfetti: Roosevelt, Churchill e Stalin, i tre capi di Stato dei principali paesi Alleati contro il nazismo (Usa, Gb e Urss) che dal 4 all’11 febbraio 1945 si spartirono di fatto il vecchio continente in sfere d’influenza.

Nel suo libro Costigliola cattura questo momento e mostra come Roosevelt, da ben dodici di anni alla presidenza degli Stati Uniti d’America, durante i quali aveva sconfitto la Grande Depressione, il Giappone imperiale e la Germania nazista, sarebbe stato l’uomo giusto (per non dire necessario) a svolgere un ultimo imponente compito: prevenire la Guerra Fredda. La tragedia è che FDR non visse abbastanza a lungo per completarlo: morì per un’emorragia cerebrale, già debilitato da una malattia al cuore, dall’eccessivo fumo di sigarette e da altri malanni il 12 aprile del 1945.

Roosevelt, secondo Costigliola, era l’unico uomo che avrebbe potuto mantenere in vita l’alleanza di guerra tra Usa e Unione Sovietica. Un uomo che, pur perseguendo una pace duratura, non ebbe timore di alienarsi tutta la sua cerchia intima di consiglieri, restando pericolosamente isolato. Quando il suo successore, Harry Truman, sostituì il fascino rooseveltiano con l’aggressività e diede ascolto agli amareggiati “esperti sovietici” che il suo predecessore aveva saputo tenere a distanza, l’alleanza crollò e la tensione fece il suo corso.

In questo senso nella sua visione, Costigliola sostiene che “la guerra fredda non era inevitabile”

“Né lo era quel conflitto derivante esclusivamente da dispute politiche e dallo scontro ideologico tra capitalismo e comunismo”.

Lo storico sostiene che FDR era il solo ad avere la credibilità, le capacità politiche e l’acume strategico necessari per superare le diffidenza tra i leader sovietici e americani, le differenze culturali tra i due paesi e gli errori poi effettivamente commessi da entrambe le parti. Roosevelt aveva ufficialmente riconosciuto l’Unione Sovietica nel 1933 e aveva portato il popolo americano dal disprezzare l’impero comunista come un nemico ad apprezzarlo come un alleato in tempo di guerra. Come risultato Stalin nutriva profondo rispetto per lui, come non ne aveva per nessun altro leader internazionale, tantomeno per Churchill.

Un famoso aneddoto che Costigliola racconta nel suo libro illustra bene il quadro: Stalin una volta disse a un suo confidente che Churchill era il tipo che “se non lo guardi, ti sfila una copeca (un centesimo di rublo, ndr) di tasca”. E Roosevelt? “Non è così – rispose il dittatore – ci infila le mani solo per le monete più grandi”. E per Stalin, non esisteva complimento più grande: di Roosevelt ammirava soprattutto l’astuzia e la flessibilità.

In un certo senso Roosevelt’s Lost Alliances costituisce un nuovo approccio alla storia delle relazioni internazionali: evidenzia l’interazione tra interessi politici nazionali e altri fattori contingenti, quali le personalità dei leader e le divergenze culturali che inevitabilmente ne condizionarono le percezioni e ne guidarono le azioni.

Non a caso Costigliola, a sostegno della sua tesi, si avvale di documenti per lo più trascurati dalla storiografia, come il diario di Yalta della figlia di Roosevelt, Anna; o le lettere private del suo capo di stato maggiore, Missy LeHand, e le trascrizioni delle intercettazioni del suo consigliere Harry Hopkins, poi estraniato.

Materiale utile senz’altro a restituirne un profilo psicologico più o meno accurato, ma che ad esempio è piuttosto carente riguardo alla figura di Stalin, non avendo Costigliola accesso alla stessa ampia documentazione da parte dei russi.

Ma c’è ovviamente altro da dire. Stalin potrebbe essere stato affascinato dal presidente e di certo può averne apprezzato il rispetto, la riservatezza e l’apparente imparzialità. Così diverso, agli occhi del leader sovietico, rispetto all’approccio gretto e talvolta offensivo di Winston Churchill. Ma, come ammesso dallo stesso Costigliola, era pur sempre prigioniero del suo pensiero e del suo background ideologico. Non era possibile intessere un legame di fiducia con un uomo che per puro sospetto di slealtà fece assassinare milioni di suoi connazionali.

Alcune sue azioni nel dopoguerra – il suo comportamento nell’Europa dell’Est, l’occupazione della Germania e le richieste sulla Cina, l’Iran e la Turchia per citarne alcune – minarono irrimediabilmente la fiducia tra gli alleati tanto quanto qualsiasi azione intrapresa da Washington o Londra.

Il comportamento dell’Unione Sovietica alla fine della guerra fece scattare molti, troppi, campanelli d’allarme in tutti i paesi, dalla Francia fino alle lontane coste dell’Asia. Non si potevano poi trascurare le epurazioni operate da Stalin tra le due guerre, il suo patto con Hitler o, nel caso dei socialisti, i suoi numerosi tentativi di rompere la sinistra non-comunista.

Inoltre, è vero che Truman improntò fin da subito la sua presidenza ad una leadership di forza, mosso da sentimenti di supremazia e punizione. Ma fu anche, per lungo tempo, impegnato a mantenere bassa la spesa per la difesa e ad evitare la guerra. E la stessa Dottrina Truman rappresentava il definitivo superamento del no entanglement (non coinvolgimento) che lo stesso Roosevelt per primo aveva violato.

Del resto che mondo sarebbe stato senza Guerra Fredda? Gli Stati Uniti avrebbero quasi certamente ritirato le proprie forze dall’Europa al termine della guerra, lasciando dietro di sé la forza militare predominante dell’Unione Sovietica. La corsa agli armamenti nucleari avrebbe potuto essere evitata attraverso accordi multilaterali. Parti dell’Europa dell’Est avrebbero potuto scampare alla piena e totalizzante sovietizzazione. E i partiti comunisti in Italia e Francia avrebbero potuto arrivare al potere attraverso elezioni libere. Sarebbe stato un mondo molto diverso ma non necessariamente migliore o più pacifico.

La Guerra Fredda non era inevitabile. Ma due superpotenze emersero dalle macerie della seconda guerra mondiale, con le rispettive storie di tensioni e ideologie rivali. Non sarebbero state alleate per sempre, con o senza FDR, a tessere la sua trama dallo Studio Ovale, per qualche anno in più.