Artemisia Gentileschi e Agostino Tassi, arte e peccato nel ‘600, Pietrangelo Buttafuoco li fa rivivere

di Gennaro Malgieri 
Pubblicato il 3 Gennaio 2017 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
Artemisia Gentileschi e Agostino Tassi, arte e peccato nel '600, Pierangelo Buttafuoco li fa rivivere

Artemisia Gentileschi e Agostino Tassi, arte e peccato nel ‘600, Pierangelo Buttafuoco li fa rivivere

Delinquente lo era per elezione e per vocazione; artista – e tra i più grandi tra Cinque e Seicento – per lo stesso motivo. Convivevano in lui due nature, distinte e parallele: lo sporco e spregiudicato lubrico avvezzo a tutte le nefandezze sessuali e non solo; il pittore toccato dalla grazia che ingentilì i palazzi della Roma papale lasciando il segno di una genialità che ancora oggi lascia stupiti.

Nell’anima di Agostino Tassi albergavano la bestia e l’angelo, in conflitto perenne, e furono più le volte che la prima prevalse sul secondo finendo per distruggere colui che poteva dare il suo nome ad un’epoca.   Dissipò, infatti, se stesso nel sesso più sporco, negli inganni più feroci, nelle turpitudini indescrivibili.

Nel 1611, arrivato (anzi tornato) a Roma per sfuggire ad un’accusa d’incesto e ad altri misfatti nella Toscana che era diventata per lui terreno nel quale ogni giorno ed ogni notte rischiava di sprofondare, con la fama di pittore affermato ed imitato, a capo di una scuola nota, viene chiamato da Cosimo Quorli, furiere del Papa, e dunque, uomo tra i più potenti dello Stato Pontificio, a dare manforte ad Orazio Gentileschi, artista conosciuto da chiunque, alla decorazione del Casino delle Muse, opera di rara raffinatezza.

Dopo un anno, trascorso tra bagordi e baldracche, abitando bordelli infimi, ma anche magioni più comode, non negandosi nessun piacere – soprattutto quelli proibiti – e giovandosi delle grazie della giovane cognata Costanza, sorella della sua legittima moglie, Maria, puttana di professione, fatta fittiziamente sposare ad un suo allievo, Gentileschi lo trascina davanti al Tribunale papale, nel Palazzo della Cancelleria, con l’accusa di aver abusato di sua figlia Artemisia, poco più che ragazza della quel si diceva un gran bene in fatto di erotismo, mentre in realtà se non illibata quasi lo era, ma soprattutto in lei primeggiava l’amore per l’arte che esprimeva meravigliosamente anche se da nessuno riconosciuta per quel che sarebbe diventata in seguito.

Dopo lo stupro, dopo le maldicenze, dopo l’ingordigia di peccato e voluttà riversata sulle sue giovani carni, dopo le menzogne che la storia non le avrebbe risparmiato…

Artemisia e Agostino.

Una storia a tinte fosche. Che soltanto una penna rinascimentale avrebbe potuto descrivere. E come e dove trovarla? Al di là delle carte processuali dell’epoca, qualcuno che fosse capace di imitare stile e modi, fraseggi e ornati, appassionate digressioni e fantasie consolidate doveva pur esserci. Eccolo, Pietrangelo Buttafuoco, solfuro amico dei dannati, ma geniale interprete di ogni tempo grazie alla versatilità delle sue passioni nutrite da una scrittura talmente “aspra e forte” da dare il senso ad un’epoca con poche pennellate.

Lo “stupro” è dunque servito. E alla maniera dei narratori Seicenteschi, sicché il godimento estetico del lettore è duplice, per lo stile e per il contenuto.

Buttafuoco si getta tra le lenzuola frequentate da Agostino Tassi e dai suoi simili, s’immedesima in un cronista del tempo e si lascia trasportare dal vento che muove e scompiglia  le carte processuali per affrescare la storia di un amore o semplicemente il piacere di un momento (che differenza fa?).

Il risultato è strepitoso. Dalle pagine del romanzo pubblicato da Skira, viene fuori la Città di Dio senza Dio; la carne senza anima e l’anima alla ricerca di una carne da sublimare.

Tutto un teatrino di controfigure o mezze figure, a maggiore ed esclusiva gloria di Artemisia Lomi Gentileschi, talmente bella, talmente desiderabile, talmente irraggiungibile da abitare, in mezzo ai ceffi, eppur lontana da loro, tra gli spiriti massimi.

E’ la storia di un ardore questa che ci propone Buttafuoco: “La notte tu mi fai impazzire” non è soltanto il titolo di un libro che rimanda ad una vecchia stupenda canzone di un cantante italo-belga della nostra adolescenza, né la sintesi delle gesta erotiche di Agostino Tassi, pittore egregio.

E’ il fremito di un’umanità che si dedica alla terra senza avvedersi di quanto la terra è bella e prodiga di ricchezze.

Come il corpo di Artemisia. Bella e con un’anima grande almeno quanto tutta la pittura di Tassi e di suo padre Orazio.

PIETRANGELO BUTTAFUOCO, La notte tu mi fai impazzire. Gesta erotiche di Agostino Tassi, pittore, Skira, pp. 107 € 13,00