Dal Premio Nobel al manicomio, il viaggio di Knut Hamsun fra Quisling e il nazismo

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 5 Settembre 2016 - 12:32 OLTRE 6 MESI FA

 

Dal Premio Nobel al manicomio, il viaggio di Knut Hamsun fra Quisling e il nazismo

Dal Premio Nobel al manicomio, il viaggio di Knut Hamsun fra Quisling e il nazismo

Finalmente anche in Italia si può leggere la più completa biografia del grande scrittore norvegese Knut Hamsun (1859-1952), Premio Nobel per la letteratura nel 1920. L’editore  Settimo Sigillo ha pubblicato l’opera dello studioso finlandese Tarmo Kunnas “L’avventura di Knut Hamsun”. Dopo che sono stati proposti quasi tutti i romanzi dello scrittore, da importanti case editrici, come Adelphi ad esempio, per farsi un’idea della sua opera complessiva, ma soprattutto del suo pensiero e delle sue controverse opinioni politiche per le quali venne ostracizzato e demolito nell’immediato dopoguerra, il libro di Kunnas mette fine ad una “demonizzazione” scandalosa, riconducendo Hamsun nell’alveo della letteratura europea del Novecento nella quale occupa un posto.

In occasione dell’attribuzione del riconoscimento più prestigioso, Thomas Mann disse che mai era stato assegnato a qualcuno che lo meritasse di più; Kafka, Brecht, Miller furono ammaliati dal suo stile; Isaac Bashevis Singer  riteneva che la “tutta la letteratura moderna deriva da Hamsun”; Eugenio Montale lo considerava “il più degno successore di Ibsen e Bjornson nel cielo della moderna letteratura europea”.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale venne “gettato” in un “cattiverio” dal quale non sarebbe più dovuto uscire per decreto dei quegli stessi che stabilirono la morte civile per Ezra Pound, vincitori  incuranti del suo genio e poco inclini a tenere separate arte e politica, costruirono attorno ad Hamsun una sorta di cordone sanitario del quale lo scrittore diede contezza nel suo esame di coscienza “Io traditore”. E’ vero che appoggiò Quisling, ma non aderì al nazionalsocialismo. Furono piuttosto, come scrive Kunnas, il suo antiamericanismo e l’ostilità all’Inghilterra, “potenza mercantile” che detestava, a negargli la “rispettabilità”. Per questo prima venne internato in un ospizio e poi in un manicomio. L’accusa, infondata, ancorché feroce, fu di “intelligenza con il nemico” e “collaborazionismo”. Un intellettuale “delinquente”, insomma. Come Pound, Brasillach, Drieu La Rochelle, Céline… Il tempo comunque è galantuomo e su Hamsun non si è depositata la polvere.

La sua opera, infatti, resta integra dal punto di vista letterario e conosce una rivalutazione sorprendente per i caratteri originali che presenta. L’ostilità al materialismo, al mercantilismo, all’assolutismo del denaro, ai condizionamenti dell’industrialismo, al “pensiero unico”, insomma, ne fanno un antesignano della difesa della natura e dell’identità culturale del suo Paese, non meno che di tutte le differenze, come evidenzia Kunnas.

Di più. Per il suo biografo, Hamsun “rappresenta uno degli analisti più perspicaci riguardo sia ad alcune forme estreme del mercato e dell’industrializzazione, sia alla vita politica”. In aggiunta egli non esalta solamente la “grandezza dell’uomo europeo”, ma ne mette in evidenza anche i limiti. Ed ancora rivela “il lato arcaico di ogni uomo e dell’intera umanità”, dimostrando che il destino della persona è tutt’altro che agevole da definire e determinare nel contesto della civiltà moderna.

Di tutto questo lo Stato norvegese non tenne conto accanendosi contro Hamsun ben oltre ogni plausibile ragione, posto che lo scrittore  non si era macchiato di nessun crimine ed aveva quasi novant’anni. Oggi lo consideriamo uno scrittore “postumo”. E Kunnas ci ricorda la sua “avventura”.

Con la ripubblicazione, da parte di Fazi del suo ultimo libro. Hamsun fece bene a mettere in chiaro in quella sorta di diario  come stavano le cose; un libro di frammenti, memorie, suggestioni, difensivo e mai offensivo che va letto oggi come da pochi venne letto a dieci anni dalla scomparsa dello scrittore, nel 1962, quando apparve in Italia edito dal Borghese con il titolo “Io, traditore” senza suscitare particolare interesse.

I tempi sono cambiati, almeno così sembra. “Per i sentieri dove cresce l’erba” (nuovo titolo, nuova traduzione) non può che essere accolto come l’esame di coscienza di uno scrittore che non cerca giustificazioni, ma reclama soltanto il diritto ad essere giudicato per le sue idee che, in ogni caso, non prefigurando delitti, non potevano essere messe alla sbarra. È perciò un libro che ci interroga sulla libertà di pensiero e sulle dimensioni dell’intolleranza esercitata soprattutto contro gli intellettuali. Quando la Cassazione emise la sentenza, Hamsun finì di scrivere. Dopo quattro anni di silenzio, morì.

KNUT HAMSUN, Per i sentieri dove cresce l’erba, Fazi editore, pp.196, 16,00 euro

TARMO KUNNAS, L’avventura di Knut Hamsun, Settimo Sigillo, pp.157, 20,00 euro