Facebook, senza vi sentite persi, è la agorà del nuovo conformismo

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 28 Ottobre 2016 - 09:09 OLTRE 6 MESI FA
Facebook, senza vi sentite persi, è la agorà del nuovo conformismo

Facebook, senza vi sentite persi, è la agorà del nuovo conformismo

Si può essere scorretti al punto di mettersi all’opposizione della cultura e del modo di pensare dominanti di questi tempi? Sembra proprio di no, scorrendo le pagine dei sempre più moribondi quotidiani ed ascoltando le banalità propinateci ogni sera da talk show uguali a se stessi stagione dopo stagione, incuranti delle miserrime percentuali di ascolti che riescono a racimolare. Cantilene infinite leggiamo e ascoltiamo su qualsiasi cosa, disinteressati dal fatto, per esempio, che l’Ocse ci avverta che l’Italia è diventato il Paese più ignorante d’Europa.

Ma non sarà colpa del conformismo imperante? Su qualsiasi cosa intervengono i soliti noti (e perfino gli ignoti) sciorinando ciò che non sanno, contenti loro – e chi vede o li legge – appagati dell’inevitabile richiamo alla democrazia ed alla libertà. Mai un’idea controcorrente, mai un accenno di approfondimento, men che meno la più timida volontà di stupire o di far pensare innescando il dubbio. Stiamo diventando (non solo in Italia, per la verità) quasi tutti annoiati fruitori della stupidità.

Provocatoriamente s’intitola “L’ubbidiente democratico” il pamphlet che un giovane saggista di valore, Luigi Iannone, anticonformista per vocazione, ha dedicato ai luoghi comuni  della nostra quotidianità senza fare del qualunquismo, ma prendendola di petto, come si dice, la questione del cosiddetto “pensiero unico”, mettendo alla berlina proprio ciò che consumiamo con maggiore voluttà:  disinformazione e presunta correttezza. Soltanto una piccola, ma agguerrita casa editrice, dal nome provocatoriamente passatista di “Idrovolante”, comunque di indiscutibile qualità, poteva pubblicare un volumetto del genere.

Iannone, infatti, passa in rassegna il “luogocomunismo” contemporaneo affaccendandosi attorno a fatterelli di cronaca politica, culturale, di costume per costruire lo spartito di un controcanto al circolo mediatico che “astutamente combina atteggiamenti caritatevoli, filantropia e finalità civilizzatrici con una così imponente forza di convincimento da far diventare problematico ribattere e mantenersi ben saldi sulle proprie posizioni”.

Il revisionismo non è demonizzato: sotto la lente di Iannone passano De Felice e Nolte;  autori appena riscoperti, ma che nel recente passato non potevano neppure essere citati; santificazioni improprie (Kennedy), salvo scoprire che i santificati erano migliori di chi li ha elevati sui propri altari; vicende rappresentate grottescamente come quella dell’ultimo giapponese che ha combattuto per tutto il dopoguerra e che invece nulla hanno degli ingredienti per una barzelletta mal riuscita.

Vengono presi di mira gli usi ed i costumi degli italiani contemporanei, quelli che non sanno fare di conto, che non hanno dimestichezza con la scrittura di una lettera, ma che sanno tutto di Facebook e senza di esso si sentono come se fossero nudi, alla ricerca di amicizie finte perché  quelle reali non sanno neppure come approcciarle. Ma anche la scuola e le istituzioni culturali, così come sono ridotte suggeriscono a Iannone icastiche considerazioni tanto simili a quelle di un Papini d’antan che sognava di chiuderle addirittura le scuole.

Insomma, è un universo mentale che si nasconde davanti alla ragionevolezza e vive di tic e tabù, in ossequio ad una visione della vita ristretta, meschina, perfino miserabile a tratti. Osserva Iannone: “La rinuncia al confronto dialettico che pure dovrebbe essere una modalità ontologica della democrazia si manifesta ormai come un dato acquisito. L’impressione è che non possiamo farci più nulla, tanto che quando osiamo dissentire sembriamo quasi dialogare allo specchio”. E’ una condizione insopportabile. Ma confortevole per tanti. Diversamente non ci saremmo lasciati inebetire dai prodotti televisivi e dalle intemerate giornalistiche quasi tutte uguali (dove sono le minoranze, a proposito?).

Lo happy end è il massimo che, sembra, si possa desiderare. E quello non ce lo toglie nessuno. Che poi sia scadente, poco male. Sullo sfondo resta il piacere di raccontarsi agli amici. Altro che profughi, immigrati, povertà, frigoriferi e lavatrici accumulati sui marciapiedi di Roma…

L’ubbidiente democratico non vive di certezze e neppure di dubbi. Vive secondo gli indirizzi dei costruttori di sogni. E sembra tanto appagante…

LUIGI IANNONE, L’ubbidiente democratico, Idrovolante edizioni, pp.136, €13,00