Mirella Serri e gli scrittori – giornalisti, su Tuttolibri della Stampa

Pubblicato il 13 Febbraio 2011 - 16:40 OLTRE 6 MESI FA

Mirella Serri recensisce, per Tuttolibri della Stampa, Parola di scrittore, raccolta di saggi a cura di Carlo Serafini, editore Bulzoni ed esordisce con queste parole: “Giornalisti vil razza dannata. Mai stato così vero. Anche perché stavolta a pronunciare il verdetto di autoaccusa sono gli stessi interessati. A impegnarsi nell’harakiri è però una particolare categoria della carta stampata ovvero quello speciale segmento che va sotto l’egida di scrittori-giornalisti”.

Mirella Serri, giornalista, scrittrice, docente universitaria, estrae alcune citazioni da questo volumone di oltre 700 pagine e ricorda alcune definizioni date da famosi scrittori della loro attività giornalistica: “Una corvée da «scribacchino fesso» (così Carlo Emilio Gadda), «miserabile fatica quotidiana» (D’Annunzio), «secondo mestiere» (Eugenio Montale): tante le diffidenze per la scrittura più volatile. Che però ha finito per catturare i più noti scrittori del secolo passato. E per fare strage di adepti ai giorni nostri. Da Parise a Sciascia, Arbasino, Moravia per arrivare a Saviano, Magris, Ceronetti, Dacia Maraini, Piperno, Scurati e Camilleri, il fior fiore della nostra intellighenzia ha occupato e occupa la sua trincea di carta quotidiana. Guardandola sempre con un certo sospetto, a differenza di tanti autori che si sono sentiti arruolati speciali o combattenti per il quarto potere come Hemingway, Orwell, Capote”.

Mirella Serri conduce il suo esercizio con un misto di commozione, indulgenza e anche disincanto. Anche se la sua recensione è sobria, non sfuggono nel leggerla l’ipocrisia e il provincialismo di molti scrittori italiani, troppo spesso riconducibili al loro archetipo, il manzoniano don Ferrante.

Le citazioni continuano: “«Mi sono recato a visitare… la biblioteca per adulti», scrive un cronista all’inizio degli Anni Cinquanta che non si riferisce a scaffali erotici o pruriginosi bensì alla castigata collezione di tomi del Liceo scientifico di Alessandria. E’ un giovanissimo reporter d’eccezione Umberto Eco che intervista il preside sulla collezione scolastica”e che “pubblica i suoi primi articoletti su Gioventù , giornalino (si fa per dire) da 200 mila copie dell’Associazione dei giovani cattolici”.

E ancora: “Basta andare a frugare nelle carte dell’inventore del giornalismo culturale italiano, il Duca minimo alias D’Annunzio, che ne parlava in termini di «miserabile» sforzo giornaliero. Però quando la socialista Anna Kuliscioff venne a sapere quanto gli erano state versate dal Corriere della Sera per un solo pezzo 5 mila lire, l’equivalente di quasi 20 mila euro, subì una specie di trauma. E non era a conoscenza che l’Immaginifico poteva pure contare sull’appoggio di Luigi Albertini, direttore del Corriere, per difenderlo dagli assalti dei debitori e delle amanti avidi di soldi”.

Benedetto Croce, invece, “si dichiarava scocciato dalle sue collaborazioni ancorché redditizie perché spesso sollecitavano polemiche e lui non amava rispondere a quei «mediocri dissidenti» dei suoi lettori”. Guido Piovene, “commentando la disponibilità degli scrittori verso quest’attività «minore», sosteneva che era conseguenza della «povertà»”.

Eugenio Montale “era solito sostenere che «il giornalismo sta alla letteratura come la riproduzione sta all’amore». Però poi quando si trattò di ostacolare l’approdo di Testori come collaboratore al Corriere si impegnò con tutte le sue forze. Le ragioni? “Non erano letterarie, spiega nel suo saggio Serafini riprendendo una testimonianza dello stesso Testori, ma originate dall’idiosincrasia del poeta per la non dissimulata omosessualità del narratore.

Non è sempre così: Goffredo Parise, “straordinario reporter di guerra, sosteneva: «Viaggiare o è transfert o non è niente»; Alberto Moravia fidava in quei cani da guardia che consentivano agli intellettuali «di non tacere e di dire la verità»”.

Invece Pier Paolo Pasolini riteneva che “le corazzate di carta e i loro direttori spesso limitassero le libertà. Ecco come si rivolgeva a Piero Ottone al timone del Corriere : «Direttore con che animo hai la spudoratezza di… parlare di libertà di stampa, quando ne fai mercimonio… Sei una triviale e laida puttana». Però circa un anno dopo affidava i suoi scritti più corsari proprio a Ottone che li pubblicava in prima pagina”.

Conclude Mirella Serri ricordando che Ennio Flaiano “sosteneva: «I giornalisti? Chi ci salverà da questi cuochi della realtà?». Dimenticando però che anche lui trafficava con pentole e fornelli”.