Montezemolo raccontato da Stefano Feltri: da copione a scuola a leader Fiat

Pubblicato il 28 Luglio 2011 - 07:51 OLTRE 6 MESI FA

Luca Cordero di Montezemolo (Lapresse)

ROMA – “E’ popolare, piace alle donne ed è invidiato dagli uomini. Viene dal mondo dell’economia, convince gli industriali e allo stesso tempo seduce gli operai”: così Luca Cordero di Montezemolo appare almeno in uno dei suoi aspetti più noti, a  Stefano Feltri, giornalista del Fatto quotidiano, classe 1984, che ha scritto una biografia non autorizzata del manager dal 1991 a capo della Ferrari ed ex presidente della Fiat (2004-2010) dal titolo “Il candidato”.

Montezemolo è considerato da molti l’asso che il Terzo Polo calerà alle prossime elezioni e Feltri cerca di analizzarne la vita, la storia, la personalità.

Guardando alle sue origini, Feltri traccia il percorso di un self made man, uno che ha fatto carriera e è diventato potente con le sue forze, anche se a scuola “copiava”, come disse lui stesso nel 2007 davanti ai ragazzi dell’Università Luiss di cui era presidente: “A scuola ero campione mondiale di copiatura e questo dimostra che anche chi copia ha speranza”.

L’immagine data nel libro è di un uomo che, grazie anche alla benedizione di Gianni Agnelli, di cui certamente non è figlio, ma del quale ha conquistato affetto e stima fin dalla gioventù, è riuscito a occupare alcuni posti chiave dell’economia e della società italiane.

La parte più originale del saggio di Feltri, infatti, è proprio il capitolo dedicato alla sua presidenza della Fiat. Feltri individua nella presidenza della Fiat da parte di Montezemolo uno dei momenti più alti e significativi della sua attività, l’ultima fase, nella vita della Fiat, in cui l’azienda ha avuto un rapporto corretto con l’Italia.

Si tratta di una cosa che quasi nessuno ha notato, meno che mai i giornali, tutti presi dal mito Marchionne e dall’amara scoperta di quel che il mito celava. Forse Montezemolo ragionava già in termini politici e quindi univa l’interesse dell’azienda al più ampio interesse dei lavoratori e dell’Italia. Ma forse nulla più di questo senso di responsabilità aziendale qualifica la presidenza Montezemolo anche sul piano politico.

Per esempio, altri capi d’azienda, vedi Alessandro Profumo, hanno parlato diffusamente di impegno sociale delle aziende, si sono anche inventati il bilancio sociale; ma intanto caricavano la loro stessa impresa dei rischi derivanti dall’espansione all’estero.

“La presidenza della Fiat di Luca di Montezemolo nasce in un cimitero e si conclude un attimo prima della guerra – cioè del ritorno alla lotta di classe tra padroni e operai, tra Sergio Marchionne e la Fiom di Maurizio Landini. In mezzo c’è la rinascita di un’azienda decotta e un fiume di denaro che esce dalle casse del gruppo per finire in quelle di Montezemolo, tra stipendi e premi”, scrive Feltri che poi ricorda: “Ora che non c’è più l’avvocato e che l’altro Agnelli è morto, è il momento di ridiscutere a fondo le strategie e le prospettive del gruppo…A Torino però c’è l’impressione diffusa che lui abbia in mente di diventare un manager padrone, unico decisionista in una glaassia famigliare disgregata e in cerca di nuovi punti di riferimento. Che voglia cioè affermare la supremazia del manager sull’azionista. Ma a frenare questi propositi egemonici interviene l’ultimo grande vecchio rimasto a vegliare sui destini della Fiat: Gianluigi Gabetti”, scrive Feltri.

Per il resto del libro, Feltri traccia un profilo di Montezemolo molto equilibrato, senza pregiudizi né a favore né contro. Racconta i momenti di gloria e quelli meno fortunati. Anche nel riportare critiche e accuse lo fa con distacco e equilibrio, quasi notarile.

“Diego Novelli, prima responsabile della redazione piemontese per l’Unità e poi sindaco comunista di Torino durante la marcia dei Quarantamila, lo ricorda così: «Montezemolo era un manager della stagione post vallettiana, in cui l’azienda cercava di aprirsi un po’ all’esterno. Quando c’era ancora Valletta, gli unici rapporti con i giornalisti erano quelli della signorina Rubiolo, una specie di chioccia esigente e dominatrice, che praticamente decideva quali notizie potevano uscire sui giornali e quali no, per esempio quelle sugli infortuni sul lavoro»”, scrive Feltri.

Novelli aveva soprannominato Montezemolo, nei suoi anni ruggenti da responsabile delle relazioni esterne alla Fiat, “Libera&Bella”, prendendo il nome da un famoso shampoo, «adatto per il suo ciuffo». Per lui, riporta ancora Feltri, “Montezemolo era bravissimo nel tenere le relazioni, nell’invitare a cerimonie, nell’organizzare incontri, sfruttando il fatto che tutti vedevano in lui il pupillo dell’Avvocato”.

Anche quando Feltri racconta la visibilità del manager e le continue apparizioni su giornali e tv (“la Stampa lo cita speso, corredando gli articoli con la sua fotografia”), Feltri accosta l’immagine di un giovane “famoso, di successo, legato al fascino della Ferrari” all’altra faccia della medaglia, quella più amara: “Sui muri di Torino però appare una scritta che non è mai stata dimenticata dai protagonisti di quegli anni: «Montezemolo, ricordati che non sei un Agnelli». Una verità indiscutibile, tuttavia Gianni lo trattava come un figlio”.