Un libro di Antonio Nicaso per “spiegare la mafia ai ragazzi”

Pubblicato il 16 Novembre 2010 - 18:47 OLTRE 6 MESI FA

Comincia con un ordine: «Allibertatevi d’u cagnuleddu» ovvero liberatevi del cagnolino il libro di Antonio Nicaso “La mafia spiegata ai ragazzi”. Un ordine dall’apparenza quasi innocua, che, in realtà cela una realtà terribile. Il cagnolino, racconta Gian Antonio Stella nella recensione che fa del libro per il Corriere della Sera, era un ragazzino di 13 anni,  Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido. La sua colpa? Essere il figlio di un pentito di mafia. L’ordine partì da giovanni Brusca e fu eseguito dal fratello Enzo, Vincenzo Chiodo detto «Quaquarotto», Giuseppe Monticciolo e Salvatore Grigoli.

E il libro di Nicaso cerca proprio di spiegare ai ragazzi l’inspiegabile: come è possibile che una cosa del genere possa far parte di un codice di comportamento. Il verbale, racconta Stella,  “gela il sangue. Chiodo: «Facemmo mettere il bambino faccia al muro. Fui io a strangolarlo, gli altri due lo tenevano fermo per le braccia e per le gambe. Il bambino non oppose alcuna resistenza. Secondo me, non ha capito fino all’ultimo momento. Era ormai fiacco». Monticciolo: «Poi dopo questa operazione, mentre Brusca spogliava il bambino, il Chiodo ha portato giù i bidoni dell’acido e il fusto di lamiera». Finita l’operazione, si fecero un caffè. Monticciolo: «Andammo dopo due ore a controllare. Si vedevano solo i piedi del ragazzino». Chiodo: «Ricordo che Brusca, vedendo che stavo andando a bruciare il pezzo di corda, mi disse in tono scherzoso:  questo te lo puoi conservare come trofeo”.

Giuseppe Di Matteo è solo uno dei tanti. Vittime di una mafia che non si pone nessuno scrupolo. Racconta Stella di  “Vitoandrea Ciancimino, che qualche mese fa ha ricevuto la sua prima letterina a 5 anni, con dentro una pallottola. Pallottola che doveva spaventare suo papà Massimo, il figlio del discusso sindaco di Palermo, colpevole di raccontare ciò che sa ai magistrati”. Nicastro nel libro è ancora più duro: “A un mafioso che gli fa notare come nella sparatoria sarebbero potuti morire anche bambini”, ricorda l’autore, “il boss Totò Riina risponde: “E allora? Anche a Sarajevo muoiono i bambini”.

Nel libro di Nicastro, spiega Stella, “non si parla, certo, solo delle mafie italiane. Ma anche dell’americana Cosa Nostra, delle Triadi cinesi, della Yakuza giapponese, dei Vory v Zakone russi, dei cartelli colombiani e messicani, della mafia nigeriana o albanese. Il centro di gravità del libro, però, e non potrebbe essere altrimenti, è qui, nel nostro tormentato Mezzogiorno. Dove per troppo tempo, nelle scuole, nelle case, in famiglia, il tema è stato accuratamente accantonato”.

Oggi qualcosa sembra essere cambiato ma di mafia, specie nelle scuole, non si parla ancora abbastanza.  “La mafia spiegata ai ragazzi – spiega Stella – cerca di tappare il buco. Con la spiegazione di certe parole: «”Cosca” in siciliano indica il “torso”, la parte interna e nascosta del carciofo, protetta da foglie spesso spinose». Le testimonianze dirette, come quella di Leonardo Messina sulla sua iniziazione: «Con un ago mi hanno punto il polpastrello di un dito e mi hanno dato in mano una santina ( …), l’ hanno macchiata con il mio sangue, le hanno dato fuoco e io me la passavo da una mano all’altra. Poi mi hanno suggerito le parole da dire. Mi hanno detto di ripetere: “Come carta ti brucio, come santa ti adoro, come brucia questa carta deve bruciare la mia carne se un giorno tradirò Cosa Nostra”». I proverbi su cui la mafia si appoggia: «A megghiu parola è chidda cca nun si rici». La parola migliore è quella che non si dice”.