Presi per il Pil, la recensione di Girolamo Stabile

di Girolamo Stabile
Pubblicato il 5 Maggio 2017 - 14:51 OLTRE 6 MESI FA

A quanto pare siamo stati tutti “Presi per il Pil”. Il Prodotto Interno Lordo (qui di seguito: “Pil”), il numero più potente del mondo secondo quanto sostiene Lorenzo Fioramonti nel suo recente libro (L’asino d’oro edizioni), recensito per noi da Girolamo Stabile.

Un libro, questo, che ripercorre tanto la genesi di questo indicatore quanto le ragioni della sua inadeguatezza per misurare la ricchezza della società contemporanea. Nei termini che seguono.

Il Pil generalmente determina il reddito di una nazione e deriva dall’applicazione di una semplice formula su base trimestrale. In particolare, il Pil si calcola come somma dei consumi privati, degli investimenti, della spesa pubblica e delle esportazioni meno le importazioni.

Ne deriva un metodo di calcolo che misura la quantità di produzione che, tuttavia, non tiene conto del deprezzamento ordinario che i beni subiscono per l’uso e/o l’obsolescenza. Altrimenti si avrebbe un indicatore “netto” di prodotto interno che peraltro rileverebbe in maniera più attenta la produzione di una nazione. Purtroppo, un indicatore netto implicherebbe tempi di calcolo molto lunghi dovuti alla stima dell’ammortamento e, dunque, il successo del Pil è dovuto anche alla sua rapidità di calcolo.

Il Pil, inoltre, misura solamente la produzione all’interno dei confini nazionali con la conseguenza, ad esempio,  che il reddito prodotto da una società italiana all’estero non viene incluso e, di converso, viene incluso il reddito di una società straniera  prodotto in Italia. A questo proposito, occorre notare che l’indicatore che evita questo effetto è il prodotto nazionale lordo.

Ciò posto, le ragioni del successo indiscusso del Pil sembrano essere legate alla sua storia che in qualche maniera è parallela alla storia delle crisi economiche. In altri termini, il Pil non è uno semplice indice statistico ma uno strumento propedeutico alla politica economica che un governo intende attuare. L’autore lo definisce uno “strumento di propaganda portentoso”!

Per meglio capire l’essenza del potere del Pil occorre ricordare che questo indicatore è stato creato per aiutare gli Stati Uniti a superare la grande depressione economica degli anni trenta. In sintesi, la filosofia politica alla base del New Deal di Roosevelt voleva il governo attivo nella gestione diretta dell’economia. Pertanto, un sistema statistico ed uno di contabilità nazionale erano essenziali per l’elaborazione di politiche economiche adeguate a questo scopo. Se in una condizione normale un efficiente apparato statistico/contabile era necessario per il governo, in una condizione di emergenza come quella che la seconda guerra mondiale avrebbe da lì a poco determinato, questo sistema di rivelò provvidenziale. Ciò in quanto, permise al governo di stabilire la produzione di armamenti sulla base caratteristiche tipiche del sistema industriale e, soprattutto, riformulare l’impostazione dell’economia civile in chiave militare. Il governo, dunque, non dovette limitare le risorse economiche destinate alla guerra stabilendo obiettivi di produzione bellica congrui con le capacità del paese (cose che, ad esempio, non fece la Germania di Hitler) e pose le basi per la società dei consumi che sarebbe emersa post-conflitto. Il Pil si rivelò essenziale per la pianificazione bellica. Di fatto, la crescita del secolo scorso fu sostenuta dalle spese militari. Se si sviluppa questa tesi fino alla c.d. Guerra Fredda è semplice comprendere lo status di super-potenza degli Stati Uniti.

Uno strumento, dunque, in origine creato per meglio affrontare un periodo di crisi (e successivamente utilizzato per giustificare l’economia bellica senza comprimere i consumi) ha forse inizialmente funzionato ma fuori da questo contesto storico-sociale rischia di rivelarsi inefficiente. Soprattutto se utilizzato come parametro per dirigere lo sviluppo economico. Un compito, questo, per cui non era stato evidentemente creato.

Il crollo dell’Unione Sovietica e la conseguente adesione all’economia di mercato ha segnato anche la definitiva inclusione di questo stato nel perimetro misurato dal Pil e l’affermazione incontrastata di questo indice in ambiente internazionale.

A partire dagli anni Novanta il Pil si impose definitivamente anche nei confronti del prodotto nazionale lordo. Pertanto, la logica del “dove” si produce indipendentemente da “dove” rimangono le risorse determinò un evento importante nell’economia globale e nel sistema statistico. Su questa base, molti paesi in via di sviluppo beneficiarono di uno incremento significativo della loro economia. Un incremento in realtà sintetico e non confermato dalle condizioni di vita dei cittadini.

In aggiunta, la diffusione del Pil come parametro unico per la determinazione della politica economica ha operato tanto in Europa quanto nell’ambito di alleanze internazionali quali il G7 o il G20. Di conseguenza, il mondo è stato catalogato in “sviluppato” e “sottosviluppato” in base al Pil.

Questa sorta di competizione ha determinato le proposte più assurde al fine di aumentare il Pil. L’Eurostat, ad esempio, ha proposto l’inclusione dei profitti derivanti dalla prostituzione o dalla vendite di droghe leggere al fine di uniformare i dati, posto che in alcuni paesi queste attività sono legali. Risulta evidente il sospetto che il Pil sia stato in qualche maniera sovra-utilizzato e/o manipolato per fini politici.

Inoltre, tra le tante critiche mosse nei confronti di questo parametro pare essenziale evidenziare, ad esempio, il fatto che l’utilizzo dei prezzi mercato sembra non attuale nell’ambito di una economia moderna e digitale in cui i costi diminuiscono e aumentano le prestazioni che, proprio in ragione della tecnologia sono gratuite o hanno costi sensibilmente ridotti. Si pensi, ad esempio, a  Skype, WhatsApp e Airbnb. Più in dettaglio, questo tipo di progresso crea un problema al Pil in quanto la neutralizzazione di alcuni costi o la riduzione che ne deriva per effetto della tecnologia sminuisce la crescita e questo indipendentemente dal beneficio che crea ai consumatori.

A questo proposito, l’autore sostiene che i metodi di contabilità nazionale non considerano le fonti di benessere e utilità che non prevedono transazioni e non sono misurate dal mercato. In aggiunta, questi metodi non esaminano i costi del processo industriale ed ignorano l’impatto ambientale e sociale creando un loop mirato unicamente al consumo. Il Pil ignora tutto ciò che ha prezzo e quindi misura la crescita sulla base di un paradigma non più attuale. Peraltro, non vi è prova che alla crescita così misurata corrisponda un lineare aumento del benessere (o della felicità) dei cittadini.

Nel corso degli anni sono stati proposti parametri alternativi al Pil. O meglio, alcuni ricercatori, tra cui ad esempio James Tobin, hanno cercato di individuare parametri complementari che meglio determinassero la misura del benessere. Il Pil potrebbe essere utilizzato per rilevare gli effetti dell’economia nel breve periodo ma non dovrebbe essere considerato come indice assoluto di progresso (cosa per cui non era stato concepito). Sforzi sono stati fatti e si contano diversi esempi di indici alternativi. La sintesi sembra essere che attualmente la misurazione del benessere sia una sorta di esercizio superficiale operato dai governi senza alcuna influenza sulla politica ed il Pil regna ancora incontrastato.

Per concludere, il merito assoluto di questo libro è certamente quello di spiegare che il Pil non è una semplice statistica e neanche un numero neutrale. È uno strumento politico molto potente, creato in situazioni particolari di cui si è probabilmente abusato nel corso della sua esistenza. Il risultato? Un mondo dominato da una gerarchia di paesi selezionati (e classificati) sulla base del Pil in cui ciò che non ha prezzo non esiste ed in cui il benessere dei cittadini non sembra avere la giusta considerazione. La crescita economica deve essere perseguita ma non può essere, sempre e comunque, l’obiettivo.

A margine delle riflessioni sul libro: apprezzabile l’inclusione nel Documento di Economia e Finanza (DEF), di recente approvato, di quattro indicatori di “benessere equo e sostenibile” in aggiunta al Pil, mirati a misurare la qualità della vita e a diventare obiettivi con dignità pari a quella degli attuali obiettivi di finanza pubblica. Apprezzabile seppur nell’ambito di un documento tutto concentrato sulla crescita vera o presunta dell’Italia e sul Pil attuale e dei prossimi anni!

di Girolamo Stabile