Renzi: “Generazione Telemaco”. Che significa?

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 2 Luglio 2014 - 16:53 OLTRE 6 MESI FA
Renzi: "Generazione Telemaco". Che significa?

Il libro che probabilmente ha ispirato Renzi quando ha parlato di “Generazione Telemaco” nel suo discorso di insediamento a Strasburgo

STRASBURGO – “La nostra è la generazione Telemaco”: ha detto Matteo Renzi nel suo discorso di insediamento per il semestre italiano di presidenza europea, tenuto all’Europarlamento, pieno di citazioni della letteratura classica.

Quelli che “come me non avevano ancora 18 anni quando è stato siglato il trattato di Maastricht, hanno il dovere di riscoprirsi Telemaco e meritarsi l’eredità dell’Europa”. “Invito questo semestre su questo, a ricoprirsi eredi”, rinnovando la conquista “dell’Europa giorno per giorno”.

Che significa “generazione Telemaco”? Chi era Telemaco nella mitologia classica? “Tele” (lontano) e “Maco” (che combatte), quindi “che combatte da lontano”, è un personaggio dell’Odissea. Figlio di Ulisse e Penelope, nacque il giorno in cui suo padre partì per la guerra di Troia e dovette attendere 20 anni per rivedere il proprio genitore.

“IL COMPLESSO DI TELEMACO” di Massimo Recalcati, è il libro che probabilmente ha ispirato Renzi e gli spin-doctor con cui il premier italiano ha scritto il suo discorso.

Sintesi e Recensione (fonte: Ibs)

Edipo e Narciso sono due personaggi centrali del teatro freudiano. Il figlio-Edipo è quello che conosce il conflitto con il padre e l’impatto beneficamente traumatico della Legge sulla vita umana. Il figlio-Narciso resta invece fissato sterilmente alla sua immagine, in un mondo che sembra non ospitare più la differenza tra le generazioni. Le nuove generazioni appaiono sperdute tanto quanto i loro genitori. Questi non vogliono smettere di essere giovani, mentre i loro figli annaspano in un tempo senza orizzonte. Telemaco, il figlio di Ulisse, attende il ritorno del padre; prega affinché sia ristabilita nella sua casa invasa dai Proci la Legge della parola. In primo piano una domanda inedita di padre, una invocazione, una richiesta di testimonianza che mostri come si possa vivere con slancio e vitalità su questa terra. Il processo dell’ereditare, della filiazione simbolica, sembra venire meno e senza di esso non si dà possibilità di trasmissione del desiderio da una generazione all’altra e la vita umana appare priva di senso. Eppure è ancora possibile, nell’epoca della evaporazione del padre, un’eredità autenticamente generativa: Telemaco ci indica la nuova direzione verso cui guardare, perché Telemaco è la figura del giusto erede. Il suo è il compito che attende anche i nostri figli: come si diventa eredi giusti? E cosa davvero si eredita se un’eredità non è fatta né di geni né di beni, se non si eredita un regno?
La recensione di IBS
Il venire meno della figura paterna – è innegabile – è una delle cifre della società contemporanea. Che negli ultimi decenni la figura opprimente del padre padrone sia scomparsa è un dato di fatto, e tuttavia ciò che colpisce è che questa assenza abbia lasciato spazio non a una figura sostitutiva bensì ad un vuoto, che è fisico ma soprattutto simbolico: “l’evaporazione del padre”, come la definisce Lacan, riguarda infatti il venire meno della funzione educativa del genitore maschio e del suo ruolo di testimone. Il conflitto generazionale e l’emancipazione precoce dei figli rispetto ai genitori hanno subito una tale accelerazione negli ultimi decenni che ciò ha contribuito a mettere in crisi la figura paterna, col risultato che spesso i padri sono assenti, latitano o, peggio, si ritrovano ad essere più bambini dei propri figli.
Su questo argomento si sono interrogati e continuano a interrogarsi sociologi, filosofi e psicanalisti, e fra questi anche Massimo Recalcati. Tuttavia, se questa è una tesi universalmente condivisa, nel Complesso di Telemaco Recalcati si spinge oltre e individua un movimento antitetico altrettanto forte caratterizzante la nostra società. Secondo l’autore infatti, negli ultimi anni si assiste a “una inedita e pressante domanda di padre” che giunge direttamente dalle istituzioni e dal mondo civile. Attingendo alla mitologia greca che fa capo a Omero, Recalcati individua nell’erede di Ulisse l’exemplum del figlio degli anni Zero. Diversamente da Edipo e Narciso incapaci di essere figli, l’uno perché parricida, l’altro perché egocentrico, Telemaco rappresenta “l’icona del figlio” per eccellenza, di colui che scruta malinconico ma fiducioso l’orizzonte in attesa del ritorno di Ulisse. Telemaco ha occhi attenti e invoca la legge del padre, la Legge della parola che sola può riportar la giustizia a Itaca, attende con ansia un padre glorioso che riprenda in mano le sorti del suo regno, eppure potrà riconoscerlo solo nelle spoglie di un migrante trasandato e malconcio. A causa della sua umanità e vulnerabilità, Ulisse non potrà indicargli il senso ultimo della vita, tuttavia, grazie alla testimonianza della propria esperienza, sarà comunque in grado di mostrare a suo figlio che la vita può avere un senso.
Ciò che accade all’erede di Itaca accade in parte anche a noi. “Siamo stati tutti stati Telemaco”, scrive Recalcati, solo che i giovani-Telemaco di oggi sono diversi dal rampollo omerico: non sono figli di Ulisse, non si aspettano in eredità un regno, al contrario, sono figli della crisi, della disoccupazione e dell’individualismo, ma proprio per questo la loro richiesta di senso è altrettanto forte e autentica, il momento storico presente rende il loro bisogno di ereditare e di acquisire la testimonianza del padre ancora più urgente e necessaria. Telemaco – ricorda l’autore – non è il nostro modello perché ci indica cosa ereditare, ma perché rappresenta il giusto modo di ereditare.
Se l’assenza è la struttura costituiva dell’essere padre, esiste tuttavia un modo di farsi presenza che rende possibile la filiazione, poiché ciò che rende davvero padre un genitore è la trasmissione della testimonianza che passa attraverso la parola e che, rielaborata retrospettivamente, ci rende ciò che siamo. È questo l’argomento centrale del Complesso di Telemaco, un saggio analitico e puntuale, arricchito nelle ultime pagine dalla personale esperienza dell’assenza di un padre troppo impegnato col lavoro per prendersi cura dei figli, e dalla testimonianza di come, attraverso la riflessione e la meditazione dell’esperienza ricevuta in eredità dai genitori, l’autore sia giunto al superamento di tale trauma.

IL MITO DI TELEMACO

TELEMACO: figlio di Odisseo e di Penelope, appare come un giovane conscio della sua responsabilità di signore di Itaca, ma timoroso davanti ai Proci e incerto sul modo di difendere la madre e il regno dalle loro brame. Quando il padre partì per la guerra di Troia, Telemaco era appena nato. Odisseo aveva cercato d’evitare in tutti i modi la partenza fingendo persino d’essere pazzo. Ma Palamede strappò il piccolo Telemaco dalle braccia della madre e lo posò per terra dinanzi alle zampe degli animali aggiogati all’aratro. Odisseo subito tirò le redini per non uccidere il suo unico figlio e dimostrando così d’essere sano di mente fu costretto a partecipare alla spedizione.
Durante i diciannove anni dell’assenza di Odisseo, Telemaco fu costretto a guardare sua madre assediata da un gran numero di pretendenti, incapace di liberarsi di loro. Ma Atena gli apparve con le sembianze di Mentore l’itacese, suo tutore, per ispirarlo e convincerlo a partire alla ricerca di notizie su suo padre. Telemaco si recò da Nestore, che era ritornato a Pilo, e da Menelao a Sparta, dove rinacquero le sue speranze di rivedere Odisseo. Intanto, i pretendenti, stanchi della sua ostilità, avevano deciso di tendergli un’imboscata al suo ritorno, ma Atena lo ricondusse a Itaca per un percorso diverso. Quando giunse sull’isola, Odisseo era già arrivato. Telemaco da quel momento mostrò coraggio e spirito d’iniziativa; si recò dapprima dal porcaro Eumeo dove incontrò suo padre ed ebbe l’ordine di non rivelare nulla a Penelope. Poi, insieme organizzarono la disfatta dei pretendenti; Odisseo disse a Telemaco di riporre nell’armeria tutte le armi che stavano appese alle pareti della sala dei banchetti, mentre egli si recava a visitare Penelope. Il giorno seguente, dopo la sfida dell’arco, i pretendenti si ritrovarono impotenti ad opporsi al massacro di Odisseo. Telemaco combattè energicamente al fianco di suo padre. Si raccontava che, dopo l’uccisione dei pretendenti, i parenti delle vittime intentarono un’azione legale contro Odisseo, nominando loro giudice Neottolemo, re delle isole Epirotidi. Odisseo acconsentì ad accettare il verdetto e Neottolemo stabilì che egli lasciasse l’isola per altri dieci anni durante i quali gli eredi dei pretendenti avrebbero dovuto versare a Telemaco, ora re, un adeguato compenso per i danni subiti.
Le storie sulla vita di Telemaco sono spesso discordanti. Secondo una versione del mito, sposò la figlia di Nestore, Policasta, che aveva incontrato a Pilo e che gli avrebbe dato un figlio, Persepoli; oppure Nausicaa, incontrata da Odisseo a Scheria. Una tradizione più tarda narra che Telemaco fosse poi esiliato da Odisseo perché un oracolo l’aveva avvertito di diffidare del figlio. In verità, l’oracolo riguardava Telegono, e niente impedì che il destino si compisse, e che Odisseo fosse ucciso, accidentalmente, dal figlio avuto da Circe. Dopo la morte di Odisseo, Telemaco, tornò a Itaca e poi con sua madre si recò a Eea dove seppellì Odisseo e sposò Circe. La maga lo rese immortale e gli generò un figlio, Latino.