Virgilio classico europeo. Enea mito per tutti i secoli: l’esule fonda l’Impero

di Redazione Blitz
Pubblicato il 18 Novembre 2014 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
Virgilio classico europeo. Enea mito per tutti i secoli: l'esule fonda l'Impero

Jean-Auguste-Dominique-Ingres, «‘Tu Marcellus eris’, Virgilio legge ad Augusto il sesto libro dell’Eneide», 1812, Tolosa

ROMA – Virgilio classico europeo. Enea mito per tutti i secoli: l’esule fonda l’Impero. L’Eneide non è solo il compendio epico dell’esaltazione della gloria universale e imperitura della Roma di Augusto. Né solo il panegirico di una genesi divina. Già T. S. Eliot, sotto il cielo minaccioso di una Londra ferita dai bombardamenti nazisti invitava a leggere Virgilio come modello della civiltà europea che trascendesse anche geni nazionali come Dante, Shakespeare, Goethe: se ci chiediamo cos’è un classico, beh quello è Virgilio.

Philip Hardie, latinista e scrittore inglese, ha appena finito di ricostruire in un denso saggio la storia culturale del grande classico della letteratura occidentale (Philip Hardie, The Last Trojan Hero. A Cultural History of Virgil’s Aeneid, London-New York, I.B. Tauris, £ 25,00). Tra le molte letture possibili, Hardie predilige la storia di un profugo che fonda un impero. Il modello letterario per eccellenza di esilio e transizione.

La critica del dopoguerra ha messo in giusto rilievo molte delle tensioni e delle esitazioni ideologiche che rendono impossibile, o comunque tristemente riduttiva, una lettura dell’Eneide solo in chiave di panegirico (la reazione era dovuta, se solo si pensi allo sfruttamento fascista di Virgilio profeta della Terza Roma). Si erano già segnalate, però, ingegnose operazioni controcorrente. A inizio Quattrocento Maffeo Vegio, dotto monaco domenicano, compone un tredicesimo libro dell’Eneide che per qualche secolo avrà l’onore di essere stampato in appendice al capolavoro.

Vegio regala ai lettori l’happy ending che manifestamente manca nell’originale. Turno viene sepolto con onore, Enea e Lavinia si sposano, assistiamo alla fondazione di Lavinio e all’apoteosi di Enea. Un finale dell’opera, insomma, che riscatta la violenza inscritta nelle omissioni di Virgilio, il quale non esitava a chiudere sull’orrore dell’uccisione di Turno e nulla dice né di Lavinia (un’assenza, un simbolo evanescente) né del destino di Enea.

Nella storia culturale dell’Eneide la dimensione politica assume un ruolo di primo piano che però non è esclusivo. L’Eneide è anche, per esempio, il racconto della tragica intersezione tra Storia e destino personale nell’amore di Didone ed Enea, sviluppato anch’esso sul filo di tensioni irrisolte che affascinano Chaucer e Tasso e Shakespeare. E mentre insiste sulla vittoria dell’ordine e la sconfitta del caos, l’epos celebra il ruolo ineliminabile delle passioni e degli istinti, trasfigurati nei venti che Eolo reprime a stento in una caverna, o nella violenza che anima le furie infernali al servizio dell’implacabile odio di Giunone. (Alessandro Schiesaro, Domenicale de Il Sole 24 Ore)