Ineffabile Voltaire. Non finisce mai di stupirci. Anzi, a duecentotrentotto anni dalla morte, razzolando nel suo immenso patrimonio filosofico-letterario, ci offre (comunque la si pensi) motivi di curiosità e d’interesse attualissimi. Lo “scopriamo”, per esempio, “animalista” convinto, vegetariano se non appassionato perlomeno “necessitato” dalla sua logica, nemico dei carnivori al punto di ritenerli “barbari”.
Non sempre era stato di questo avviso il capofila degli illuministi. Ci arrivò piuttosto tardi ad abbracciare la teoria che avrebbe poi messo in pratica rifiutando sistematicamente di mangiare cadaveri. E si convinse, un po’ per volta, della bontà di questa sua tendenza studiando Pitagora, Porfirio e la religiosità indiana che lui, ateo per scelta, contrapponeva a quella cristiana segnata da un “peccato originale”: la liceità dell’allevare ed ammazzare bestie dotate, a suo dire, della stessa sensibilità umana, soltanto per soddisfare la gola. Ed i più golosi chi erano? Ma i preti, senza alcun dubbio.
Ci sarebbe molto da dire al riguardo, naturalmente. Non si può comunque negare che Voltaire argomenti il suo punto di vista con dovizia di esempi e di riferimenti coltissimi. Per rendersene conto basta sfogliare la raffinata e davvero intrigante antologia Pensieri vegetariani, edita da Piano B, a cura di Anna Faro che firma l’introduzione. Aveva già compiuto sessantotto anni il filosofo quando abbracciò il “credo” vegetariano indotto dallo studio di Pitagora il quale diceva: “Fintanto che l’uomo continuerà a distruggere gli esseri viventi inferiori, non conoscerà mai né la salute né la pace. Fintanto che massacreranno gli animali, gli uomini si uccideranno tra di loro. Poiché chi semina delitto e dolore non può mietere gioia e amore”.
Non sappiamo se l’apodittica asserzione fu decisiva nel convertire Voltaire alla “fede” dell’antico filosofo, certo non lo lasciò indifferente come testimoniano le innumerevoli analoghe considerazioni sparse nelle sue diverse opere. Senza ombra di dubbio, la questione animalista e vegetariana diventò una vera e propria battaglia per l’autore del Candide dalla quale non si discostò mai fino alla fine dei suoi giorni. Ne fece addirittura una sorta di principio etico che utilizzò tanto per combattere il cristianesimo, quanto per avversare le più umili pratiche nutrizionali.
Anche nel Dizionario filosofico Voltaire sparge a piene mani veleni contro i consumatori di carne in chiave addirittura anti-cartesiana. Infatti la condanna della dieta carnea e la polemica contro la crudeltà nei confronti degli animali, supporta un ampio dibattito filosofico incentrato sulla condanna dell’antropocentrismo. Insomma, l’uomo per Voltaire sta sullo stesso piano degli animali e non è moralmente accettabile sgozzare questi per cibarsi e sostenersi. E’ la negazione dell’ “animale-macchina” sostenuto da Cartesio da un lato e dall’altro la contrapposizione alla visione provvidenziale del cristianesimo difesa dai teologi e mutuata dall’Antico Testamento secondo la quale gli animali sono stati creati per servire l’uomo nei limiti dei bisogni accettabili.
La curatrice del volume osserva che “l’attualità della polemica di Voltaire resiste proprio nella misura in cui oggi assistiamo al compimento, fin nelle sue più barbare conseguenze, della concezione che vede l’animale come una ‘cosa’ – mero oggetto privo di coscienza, di capacità di sentire, di pensiero”. Forse non è esattamente così. Tuttavia il fondamentalismo animalista odierno non si sposa con le teorie volteriane che pure lo giustificherebbero ad una sommaria ed approssimativa lettura. Il filosofo, per dirla tutta, assumeva il vegetarianesimo come “pretesto” (al di là della oggettiva convinzione) per criticare Cartesio ed accentuare un certo anticlericalismo, al punto di rifarsi a tradizioni, usi e costumi ancestrali dell’India – quanto di più lontano dalla sua mentalità e dal razionalismo che propugnava – per esibire “pezze d’appoggio” inoppugnabili a suo giudizio.
Infatti, era più “mite” di quanto volesse far credere: “Dio – scriveva – permettendo che gli animali ci servano da nutrimento, ci raccomanda di usare una certa umanità nei loro confronti”. Ciò significa che era la “sofferenza” delle creature a lasciarlo interdetto, piuttosto che la necessità del nutrimento consumando carne. E si curava poco delle contraddizioni insite nella sua crociata. Altrove infatti aveva scritto: “E’ fin troppo chiaro che la carneficina disgustante, perpetrata senza posa nelle nostre macellerie e nelle nostre cucine, non ci sembra affatto un male; al contrario, consideriamo spesso questo orrore pestilenziale come una benedizione del Signore è ancora oggi diciamo preghiere per ringraziarlo di queste uccisioni. Cosa c’è di più abominevole che nutrirsi continuamente di cadaveri?”
La domanda ancora oggi c’intriga. Ma la riponiamo negli ambiti più nascosti delle nostre coscienze. A meno di non convincerci che è moralmente disonesto uccidere animali per vivere. E se gli animali si ponessero lo stesso problema? Non possono farlo. Voltaire s’è dimenticato che essi vivono seguendo non “ragione e conoscenza”, ma soltanto l’istinto. Una falla non da poco nel pensiero vegetariano del filosofo francese.
VOLTAIRE, Pensieri vegetariani, Piano B Edizioni, pp.108, 12,00 euro