Da “No Global” a “No Irap”: la parabola di Luca Casarini

Pubblicato il 18 Novembre 2009 - 12:15 OLTRE 6 MESI FA

Luca Casarini

Dalla disobbedienza civile alla disobbedienza fiscale. Un percorso curioso quello di Luca Casarini, già leader dei No Global, ora diventato imprenditore e paladino dei diritti delle piccole aziende del nord est.

Guai però, ad accusarlo di voltafaccia: Casarini si risente e continua a definirsi un ribelle. Semplicemente è cambiato il teatro della rivolta: dalle piazze l’ex leader dei disobbedienti si è spostato sul fronte delle tasse e della burocrazia.

Intervistato dal quotidiano La Stampa, l’ex no global racconta la sua “folgorazione” imprenditoriale. La sua azienda, zero dipendenti, si occupa di consulenze di marketing e comunicazioni e si chiama Nexus 7. Spiega Casarini: «Nexus 6  era il replicante di Blade Runner che si ribella. Io sono il numero 7, mi ribello ancora di più».

Gli sono bastati due mesi di burocrazia per scoprire una nuova platea di oppressi: «Io resto dalla parte degli sfruttati. E i nuovi sfruttati sono i piccoli imprenditori, gli artigiani. È il Paese che produce e quindi dovrebbe essere aiutato e invece si scontra con tutto un sistema di difficoltà».

Un esempio? L’Irap, di cui il governo, rigore Tremontiano permettendo, ha già annunciato il taglio. Per ora non è arrivata nemmeno la proroga per la quota di novembre e Casarini, sull’imposta va giù duro: «è una vergogna. Specie in periodi di crisi. Viene tassata la produzione, non il reddito: ma le pare?».

Ha scoperto un mondo di soprusi Casarini. Per esempio le banche: «Per fare un mutuo, che è l’unico sistema possibile per comprare una casa, in Italia c’è un tasso medio del 5 per cento; in Europa è del 2,5. Per chi ha un’attività, poi… Io ho chiesto settemila euro di credito, per darmeli ci hanno messo un mese e mi hanno chiesto beni di famiglia in garanzia».

La soluzione, almeno quella, resta da disobbediente: «Potrei cominciare a fare obiezione fiscale non pagando l’Irap, per esempio». Senza, per questo, sentirsi un evasore: «Distinguiamo. C’è evasione ed evasione. Un conto sono i grandi evasori, che non pagano le tasse e poi si comprano l’Alitalia con i soldi dello Stato, cioè nostri. Un conto sono i piccoli, che devono pur difendersi».

Che gli imprenditori fossero una categoria vessata, Casarini sostiene di dirlo da sempre. Forse, ai tempi delle denunce durante i cortei e le condanne per resistenza a pubblico ufficiale, l’ex no global era troppo in altre faccende affaccendato per ricordarsi anche di dirlo. Ora, però, la linea è definita. Prima colpevole, secondo lui, è certa sinistra «che ha sempre avuto un’impostazione classica: difende gli operai delle grandi fabbriche, che sono stra-garantiti, e se ne infischia di quelli che lavorano con i piccoli».

Nessun clamoroso passaggio alla sponda leghista, però. Per l’ex no global, infatti, l’idea che il partito di Bossi tuteli le piccole imprese o il popolo delle partite iva è «una colossale balla». La Lega, incalza Casarini, «se la prende tanto con gli immigrati perché è l’unico argomento che può permettersi. Se parla di tasse, balbetta. La Lega, qui in Veneto, è lo Stato. È la Lega che ci impone le tasse. Dicono tanto di Roma, ma a Roma ci stanno loro».