Facebook e la disfida della privacy: privilegiare pubblicità o utenti?

Pubblicato il 26 Settembre 2012 - 14:19 OLTRE 6 MESI FA

SAN FRANCISCO – Chi di privacy ferisce, di privacy perisce, verrebbe da pensare. In un periodo davvero turbolento per il team di Facebook, tra il crollo del titolo in Borsa e la battaglia per la concessione agli inserzionisti pubblicitari di un accesso privilegiato ai profili degli utenti, il caso Timeline, scoppiato in Francia due giorni fa, impone alcune riflessioni sul concetto di riservatezza nella “social era”.

L’allarme Timeline è scattato lunedì 24 settembre quando un numero considerevole di utenti ha denunciato la comparsa sulla propria Timeline di messaggi privati risalenti al periodo 2007-2009. Ma Facebook ha prontamente negato che ci fosse un problema di privacy, derubricando la faccenda a banale bug di sistema, con conseguenze piuttosto limitate. Ciò non toglie però, che il gigante in blu stia attraversando giorni difficilissimi: ancora una volta si trova a dover sciogliere i dubbi dei propri utenti sulla segretezza dei dati raccolti. E tutto questo proprio mentre la società sta cedendo in Borsa.

La domanda che in molti si pongono è cosa stia diventando esattamente Facebook? Un social network? Sicuramente. Un gioco? Ne è pieno zeppo. Uno strumento di marketing digitale? O un motore di ricerca? Dovrà vedersela col resto della Rete. La verità è che mentre il sito cresceva, forte del vincolo affettivo instaurato con gli utenti ormai abituati ai vantaggi di un dialogo in rete senza barriere, a cambiare è stata anche la sensibilità degli utenti. Che non sono certo pronti a rinunciare a proteggere la riservatezza dei propri dati personali. Con la conseguente discesa in campo prima delle Autorithy e poi degli esperti della rete, preoccupati circa i rischi di una deriva della società, che per far soldi ha bisogno di sfruttare e rendere pubblico l’enorme patrimonio raccolto di dati personali.

Ora, la prossima sfida all’orizzonte per il gigante nato nei dormitori di Harvard è proprio questa: cercare nuovi modi per far fruttare quell’enorme capitale di dati. Problemi di business model o sopravvalutazione che sia, il social network sta cercando in tutti i modi di trattenere gli utenti sempre più a lungo sulla piattaforma, facendoli spendere e spandere a vantaggio dei marketer e, in definitiva, della propria credibilità nei confronti di chi sta investendo nel progetto e nelle sue prospettive.

Detto più semplicemente, Facebook è dilaniato: da un lato la pressione di investitori e portatori di interesse, che passa necessariamente attraverso un abbassamento della soglia di privacy accettata dagli utenti. E dall’altro la sua dimensione social e la necessità di trattenere utenti sempre più sfuggenti e consapevoli della preziosità dei propri dati.

Il crollo in Borsa ha spinto il colosso a cercare disperatamente nuovi modi di far fruttare il suo enorme capitale di informazioni personali. Un campo nuovo e promettente è quello del riconoscimento facciale: col suo patrimonio fotografico (300 milioni di immagini scaricate ogni giorno), senza la concorrenza di Instagram (acquisita qualche mese fa) e con l’aiuto di Face.com, software di riconoscimento facciale comprato mesi fa, sembrerebbe tutto pronto. Ma per fortuna il veto dell’Ue, ha mandato Zuckerberg in standby.

Dare a Facebook il potere di schedare tutti gli utenti come possibili consumatori, con tanto di etichette circa i nostri gusti e abitudini, ci renderebbe tutti potenziali vittime di un marketing selvaggio ai limiti dello stalking.

Premesso che richiedere la privacy dei dati pubblicati in un social network è un po’ come chiamarsi Kate Middleton e lamentarsi se pubblicano le tue foto in topless all’aperto, non sarà certo da una generale consapevolezza che verranno ripensamenti e revisioni delle libertà che si prende Facebook. Eventualmente dipenderà da pochi, legislatori, intuizioni strategiche dello stesso Facebook, pressioni di poteri altri. E per il momento Zuckerberg non può certo inimicarsi l’Europa, dal momento che da quest’area proviene un terzo del suo fatturato.