Giornalisti, per farlo servirà la laurea. La riforma dell’Ordine

di Daniela Lauria
Pubblicato il 17 Ottobre 2018 - 17:44| Aggiornato il 18 Ottobre 2018 OLTRE 6 MESI FA
Giornalisti, per farlo servirà la laurea. La riforma dell'Ordine

Giornalisti, per farlo servirà la laurea. La riforma dell’Ordine

ROMA – Servirà la laurea per fare il giornalista. O almeno così prevedono le Linee guida di riforma dell’Ordine dei giornalisti, approvate a larga maggioranza dal Consiglio nazionale (Cnog) il 16 ottobre. La proposta di autoriforma della categoria è stata presentata in una conferenza stampa che si è tenuta mercoledì 17 ottobre nella sede del Cnog, in via Sommacampagna a Roma. Accanto al presidente Carlo Verna, c’erano la vicepresidente Elisabetta Cosci, il segretario nazionale Guido D’Ubaldo, il presidente Fnsi Giuseppe Giulietti, il presidente Casagit Daniele Cerrato e i presidenti rappresentanti degli Ordini regionali.

L’ipotesi di riforma dovrà ora approdare in Parlamento e superare lo scoglio di un acceso dibattito, in un clima tutt’altro che sereno dopo il caso Casalino e le minacce di abolizione dell’Ordine da parte dei 5 Stelle. Ordine che, sempre secondo le Linee Guida, non si chiamera più dei giornalisti, ma del giornalismo, per porre al centro il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati.

Per salvaguardare il diritto all’informazione, è il ragionamento dell’Ordine, è comunque indispensabile l’azione di un Ente di diritto pubblico che normi l’accesso alla professione, la formazione e curi la vigilanza disciplinare. Non a caso la stessa conferenza stampa è stata anche il luogo di un accorato dibattito contro le istanze grilline abrogazioniste e di azzeramento dei fondi all’editoria. Un sostegno che, spiega il presidente Odg Carlo Verna, “si minaccia di togliere soprattutto alla piccola editoria e questo è qualcosa di veramente letale per il pluralismo e per la libera informazione, perché è del tutto evidente che togliere all’improvviso un supporto, importante ma motivato con la funzione sociale che viene svolta, significa far crollare e far finire delle esperienze che non sono soltanto delle occasioni di lavoro per i giornalisti”.

Per il presidente Fnsi, Giuseppe Giulietti, il taglio dei fondi all’editoria è quasi una fake news “perché il sostegno alla grande editoria non esiste più da anni. Sono rimaste le cooperative, i no profit e viene colpito a morte tutto il mondo diocesano. Altro che scontro tra destra e sinistra”. Più agguerrito il suo passaggio sulla proposta di abolire l’Ordine: “E’ singolare che il momento in cui parte l’attacco all’Ordine è quando l’Odg chiede nuovi strumenti di riforma. E allora il tema non è l’allargamento e la libertà di espressione perché si tenta di colpire l’Ordine nel momento in cui ce ne è più bisogno. Sciogliere l’Ordine nel momento in cui in Europa e in Italia c’è più bisogno di un organismo di certificazione, di autonomia e di indipendenza di formazione è esattamente il momento peggiore che ci avvicina più all’Ungheria che al dibattito in corso in altri paesi europei”.

Ma cosa prevede esattamente la proposta di riforma? E cosa bisognerà fare per diventare giornalisti? Ecco spiegati i punti principali:

Accesso alla professione

Per esercitare la professione resterà obbligatoria l’iscrizione all’Ordine, che ha il compito di assicurare la tutela dell’esercizio della professione e il rispetto dei principi deontologici. 

All’albo si accederà ancora superando un esame di idoneità, al termine di un percorso formativo costituito da: 

a) Una laurea almeno di primo livello conseguita in uno dei Paesi Ue in una qualsiasi disciplina. Sparisce invece la pratica giornalistica che si potrà svolgere all’interno di un corso universitario annuale da attuarsi attraverso forme di controllo e vigilanza da parte dell’Ordine;

b) Un master di giornalismo post laurea già riconosciuto dall’Ordine.

Obbligo di Laurea

A domanda diretta, il presidente Carlo Verna, ha confermato che la laurea sarà conditio sine qua non per diventare giornalisti. Ad oggi era invece possibile accedere all’esame professionale senza alcun titolo di studio. “I luoghi di lavoro – ha spiegato Verna – sono stati delle grandi navi scuola, soprattutto quando la legge è stata promulgata 55 anni fa nel 1963. Oggi i luoghi di formazione non ci sono più, le esperienze dei master sono esperienze positive, ma se concorrono con la possibilità di dare un tesserino, di riconoscere uno status, in cambio di un lavoro che molto spesso è sfruttato, non funziona. Già lo scorso anno nella conferenza stampa di fine anno con l’allora premier Paolo Gentiloni, dissi: “Mi rifiuto di continuare a validare un sistema basato sullo sfruttamento”.

Verna precisa che “non consegneremo ovviamente l’accesso alle Università e alle Accademie però diciamo che il Master che è una scuola di alta formazione rimane, così come la laurea che è una conditio sine qua non per intraprendere il percorso che porta alla abilitazione. Chi invece vuole soltanto ottenere una patente della grammatica giornalistica e della deontologia potrà con una laurea di primo livello, accedere ad un corso universitario annuale da attuarsi attraverso forme di controllo e di vigilanza da parte dell’Ordine del giornalismo. Non immaginiamo di togliere agli editori un potere e consegnarlo tout court agli accademici ma auspichiamo una contaminazione e una alleanza strategica tra mondo della formazione e del lavoro”.

Che fine fanno i praticanti? 

Resta ferma la possibilità di accesso all’esame di idoneità per chi ha svolto o sta svolgendo, al monento dell’entrata in vigore della riforma, il periodo di praticantato previsto dalla vecchia normativa.

Che fine fanno i pubblicisti? 

Fino a quando i nuovi percorsi di accesso all’Albo non saranno praticabili si potrà altresì chiedere l’iscrizione all’Elenco Pubblicisti. E’ “una sorta di foglio rosa – ha spiegato il presidente Verna –  per l’accesso all’elenco dei pubblicisti che sorpavviverà in questa fase transitoria anche per catalizzare tutte quelle esperienze professionali che si stanno formando nei cosiddetti nuovi media. Però con un giro di vite molto forte che preveda non solo una dichiarazione all’inizio della pratica, ma anche la obbligatorietà del contributo previdenziale per chi inizia questo genere di collaborazioni perché si tratta di attività di lavoro a tutti gli effetti. Ogni sei mesi prova delle retribuzioni avvenute e un colloquio finale su temi deontologici”. Torna quindi l’esame orale, senza differenze tra un Ordine regionale e l’altro. E’ bene precisare che anche per gli aspiranti pubblicisti la proposta di riforma prevede il requisito della laurea di primo livello.

Albo unico per pubblicisti e professionisti

Entro due anni dall’entrata in vigore della legge, il Consiglio nazionale dovrà valutare l’opportunità di eliminare l’elenco pubblicisti in favore di un Albo unico. In tal caso:

a) Entro tre mesi dalla deliberazione del Consiglio saranno trasferiti automaticamente nel nuovo Albo tutti i giornalisti professionisti. 

b) Potranno accedere all’esame di idoneità tutti i pubblicisti previa frequenza di un corso di formazione specifico di 6 mesi che l’Ordine predisporrà, almeno una volta l’anno, di concerto con le Università. Anche i pubblicisti non laureati potranno accedere all’esame.

c) La richiesta di passaggio all’Albo unico dovrà essere fatta entro 5 anni dalla delibera del Consiglio. 

E chi vuole restare pubblicista? 

Potrà farlo, ha assicurato il presidente Carlo Verna: “Lungi da noi togliere diritti acquisiti a qualcuno”, ha detto. L’elenco pubblicisti continuerà a coesistere fino al suo naturale esaurimento con l’Elenco Unico, ma non sarà più aperto a nuove iscrizioni.

A questo link è possibile consultare il documento completo delle Linee Guida: http://www.odg.it/wp-content/uploads/2018/10/Linee-guida-Riforma-Ordine-giornalisti.pdf