“Il giudice va a cena da solo”, Carlo Federico Grosso per La Stampa

Pubblicato il 16 Luglio 2010 - 16:59 OLTRE 6 MESI FA

Blitz quotidiano vi propone oggi come articolo del giorno quello di Carlo Federico Grosso per La Stampa.

Ricordo che mio padre mi diceva che ai suoi tempi era regola indiscussa che il magistrato non dovesse essere «commensale abituale» di coloro nei confronti dei quali amministrava la giustizia. Non doveva, cioè, coltivare relazioni sociali, avere rapporti di interesse, anche soltanto ostentare amicizie nella città dove aveva l’ufficio. Lo imponeva una regola elementare di prudenza. Poiché egli doveva non soltanto essere, ma ancor prima apparire imparziale, la sua immagine sarebbe stata inevitabilmente intaccata se egli fosse stato visto sedere abitualmente al tavolo degli stessi commensali, frequentare circoli, salotti, cene o cenacoli.

Altra regola sentita era che il magistrato doveva esprimersi esclusivamente con gli atti processuali e le sentenze: non doveva esibirsi, rilasciare interviste, parlare dei suoi processi fuori dalle sedi processuali, cercare a tutti i costi la vetrina. La sua attività doveva essere improntata a grandissima riservatezza. Ogni eccesso avrebbe infatti potuto intorbidire un’immagine che doveva apparire, invece, manifestazione di equilibrato esercizio delle funzioni. […]