Nello Ajello, fu ai vertici Espresso, morto ad agosto, con la redazione vuota

Pubblicato il 11 Agosto 2013 - 16:08 OLTRE 6 MESI FA
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Nello Ajello, giornalista insigne, morto in agosto, quando in redazione si sta meglio

Nello Ajello, aristocratico del giornalismo migliore, è morto a Roma, aveva quasi 83 anni La moglie era morta il mese scorso.

Fu vice direttore e condirettore dell’ Espresso negli anni più belli del settimanale, forse solo lui avrebbe potuto convivere con l’ambiguo genio del bolzanino Livio Zanetti. Fu messo da parte a metà degli anni ’80, trovò una nuova dimensione professionale a Repubblica con Ezio Mauro più che con Scalfari. Scrisse un libro intervista con Carlo Caracciolo, “L’editore fortunato”, che contiene la chiave di un piccolo mistero, i contorti rapporti tra Caracciolo, Eugenio Scalfari e Berlusconi, con Berlusconi nella parte del maramaldo, in quel groviglio che poi prese il nome di “guerra di Segrate“.

Caracciolo amava molto Nello Ajello e usava citarne una massima di mestiere: che i giornali si fanno meglio ad agosto, quando non c’è nessuno a fare confusione nelle redazioni. Forse anche per questo Nello Ajello ha scelto di morire in pieno agosto.

Simonetta Fiori è stata incaricata di scrivere il necrologio di Nello Ajello su Repubblica.it e lo ha fatto con garbo, bravura e intelligenza. Nello Ajello, ha scritto Simonetta Fiori,

“era da tempo malato di tumore, ma l’ha scoperto solo di recente perché concentrato su un dolore più grande: la malattia della moglie Giulia, scomparsa lo scorso 25 luglio. Una storia d’amore d’altri tempi, un legame che non poteva essere reciso”. 

Elegante, ironico, Nello Ajello incarnava esemplarmente la stirpe degli “anglonapoletani”, una specie antropologica e intellettuale”

rara e forse solo virtuale.

“Inconfondibili nel rigore. Inconfondibili nel modo di vestire. Inconfondibili nell’amare la loro imbarazzante città – imbarazzante per “l’eccesso” e “l’incoscienza” – opponendole uno stile che non conosce approssimazione. Né in termini etici né in quelli estetici.

“Il percorso intellettuale di Nello Ajello non conobbe approssimazioni, essendosi definito sin dagli anni Cinquanta attraverso alcuni santuari della cultura democratica e progressista”

ma non comunista: purtroppo per l’ Italia, furono troppo pochi gli intellettuali italiani di sinistra non omologati alla egemonia del Pci.

“I primi passi a Nord e Sud, la rivista di Francesco Compagna che coniugava meridionalismo ed europeismo (“il capitolo più appassionante della mia giovinezza”). Il lavoro a Torino [in realtà era Ivrea, quella delle rosse torri] alla Olivetti, al fianco del mitico mecenate Adriano (“Mio padre si mostrò stupefatto: ‘Che vai a fare a Torino? È ‘nu paisiello! ‘Vado a Torino, risposi, perché la amo molto e perché non posso andare a Helsinki non conoscendone la lingua”).

“La collaborazione al Mondo di Pannunzio e la successiva attività nelle stanze dell’Espresso, di cui per tanti anni fu condirettore al fianco di Livio Zanetti (“Mi occupavo di qualsiasi cosa, dal salotto di Croce alla vallata vietnamita di Da-Nang, dalla legge Merlin alla Guerra dei sei giorni”).

Simonetta Fiori scivola sul periodo fra Zanetti e l’approdo a Repubblica, dove, superato il piccolo disastro del supplemento culturale Mercurio, Nello Ajello

“restò firma d’eccellenza, sempre nel segno della levità e della destrezza. Un itinerario politico e culturale coerente, che egli amava restituire con il consueto understatement: “Mi pare di aver provato simpatia per una liberaldemocrazia a sfondo laico che fosse davvero tale, senza sconfinamenti verso utopie di segno diverso o verso cangianti settarismi”.

“Maestro di antiretorica, ha saputo raccontare il Novecento – ma anche gli esordi del nuovo secolo – senza tracce di sussiego, nella lucida consapevolezza delle mine nascoste in un mestiere che ha contribuito a reinventare. Nelle migliaia di articoli e profili critici – che compongono una sorta di enciclopedia dell’intellighenzia contemporanea – non ci si imbatte mai né nell’accademia né nell’astrattezza. Considerava il giornalismo culturale una specialità a sé, che richiede a chi vi si cimenta un’ardua quadratura del cerchio.

“La figura del redattore culturale”, diceva Nello, “è esposta a un pericolo: sta in bilico tra il professore che non sa scrivere e il dilettante che magari sa scrivere ma non sa. Professionalmente parlando, egli può o deve essere un centauro. Ossia deve sapere, e deve sapere scrivere”. E se non sa, aggiungeva, deve sapere dove mettere le mani.

“I suoi due saggi sui rapporti tra intellettuali e Pci, che coprono mezzo secolo di vicende nazionali, resteranno un caposaldo della bibliografia storica contemporanea (Intellettuali e Pci e Il Lungo addio, entrambi di Laterza). Il consueto stile mercuriale, accompagnato da una sterminata documentazione anche inedita su episodi e personaggi, ne fanno dei classici destinati nel tempo a essere letti, riletti e consultati.

“Erede dei Flaiano e dei Maccari, i cui acquerelli affollavano le pareti di casa, Ajello era anche un formidabile autore di corsivi. Tra il 1992 e il 1993, sulle pagine politiche di Repubblica, ritrasse il naufragio della prima repubblica. Per Bettino Craxi coniò il motto “l’irritation au pouvoir”, a ricalco dello slogan del Sessantotto francese. Con De Mita intonava “Fratelli d’Irpinia”. E Formigoni era la “prova ontologica dell’inesistenza di Dio”.

“Agile Nello Ajello lo era anche nella vita. Ogni parola fiammeggiava di ironia. “Per una battuta si mangerebbe una casa”, scrisse una volta Valerio Riva curandone un’antologia di scritti. Epigrafe che non gli dispiaceva. Un’arguzia affidata al rovesciamento parodistico, in cui lui scivolava agli ultimi gradini e gli altri erano pericolosamente promossi a sovrani pro tempore. Niente gli era più estraneo di quello che definiva il “soufflé dell’ego”, quanto mai contagioso nella varia umanità che rallegra il mestiere di giornalista. Ma se nella professione e nello stile intellettuale esercitava e predicava distanza, nella convivenza con amici e colleghi non c’era lutto o anche solo dispiacere che non lo vedesse coinvolto. Umanissimo e sensibile. Impeccabile e generoso. Attento e a tratti malinconico. Distratto da sé fino all’ultimo, tanto da non accorgersi del male che lo minava”.

 

Anche nei giorni del dolore per l’agonia di Giulia, non ha mancato di inviare a Repubblica una serie di articoli per l’anniversario del crollo del fascismo. Puntuale, come sempre. Documentato, come nessun altro. Il mestiere non contempla lacrime, in pubblico. Ciao, Nello. E grazie.