Nino Manfredi, Alida Valli e Giulietta Masina: i tre francobolli di Poste Italiane nel centenario della nascita

di redazione Blitz
Pubblicato il 30 Aprile 2021 - 13:02 OLTRE 6 MESI FA
Nino Manfredi, Alida Valli e Giulietta Masina: i tre francobolli di Poste Italiane nel centenario della nascita

Nino Manfredi, Alida Valli e Giulietta Masina: i tre francobolli di Poste Italiane nel centenario della nascita

Poste Italiane comunica che oggi 30 aprile 2021 vengono emessi dal Ministero dello Sviluppo Economico tre francobolli ordinari, appartenenti alla serie tematica “le Eccellenze dello spettacolo” dedicati a Giulietta Masina, Alida Valli e Nino Manfredi, nel centenario della nascita, al valore della tariffa B pari a 1,10€ per ciascun francobollo.

Tiratura: duecentomila esemplari per ciascun francobollo. Fogli: da quarantacinque esemplari.

I francobolli sono stampati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A., in rotocalcografia, su carta bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente.

Bozzettisti: Maria Carmela Perrini per il francobollo dedicato a Giulietta Masina, Claudia Giusto per il francobollo dedicato ad Alida Valli, Giustina Milite per il francobollo dedicato a Nino Manfredi.

Le vignette raffigurano, entro una pellicola cinematografica, i rispettivi ritratti di Giulietta Masina, Alida Valli e Nino Manfredi delimitati, in alto, dalle loro firme.

Completano i francobolli le relative leggende “GIULIETTA MASINA 1921 – 1994”, “ALIDA VALLI 1921 – 2006”, “NINO MANFREDI 1921 – 2004” la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.

Gli annulli primo giorno di emissione saranno disponibili presso lo Spazio Filatelia Roma. I francobolli e i prodotti filatelici correlati, cartoline, tessere e bollettini illustrativi saranno disponibili presso gli Uffici Postali con sportello filatelico, gli “Spazio Filatelia” di Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma, Roma 1, Torino, Trieste, Venezia, Verona e sul sito poste.it .

Per l’occasione sono state realizzate tre cartelle filateliche, una per ogni francobollo, in formato A4 a tre ante, contenente il francobollo singolo, la quartina di francobolli, una cartolina annullata ed affrancata e una busta primo giorno di emissione, al prezzo di 15€.

Nino Manfredi, il francobollo

Nino Manfredi, il francobollo di Poste Italiane per il centenario

Nino Manfredi, il ricordo del nipote Simone Olivieri

Forse perché nato all’inizio della primavera, Nino, al secolo Saturnino, per me Nonno Nino, ha saputo portare sempre una nota di freschezza e innovazione nel modo di interpretare la professione dell’attore, dell’autore e del regista.

Dotato di un innato talento non si è accontentato di questo ma ha approfondito con tenacia e caparbietà la tecnica di recitazione frequentando l’accademia di Arte Drammatica di Roma, sotta la guida del suo “maestro” Orazio Costa. Fu proprio Costa a notare in lui la dote dell’ironia suggerendogli di orientarsi verso ruoli comici, cosa che Nino fece a modo suo, interpretando tutti i suoi personaggi con quell’attitudine dissacratoria che sdrammatizzava anche i momenti più duri del ruolo che interpretava.

Amava qualificare questa sua caratteristica recitativa e autoriale, con il motto latino “Castigat ridendo mores”, cui rimase fedele in tutta la carriera, diventando uno dei grandi protagonisti della migliore stagione del cinema italiano negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso.

Importante e duro fu anche il lavoro per correggere la sua voce; infatti non molti sanno che Nino aveva la cosiddetta “erre moscia” e una voce piuttosto nasale, caratteristiche poco adatte per la professione che aveva scelto di intraprendere.

Impegno che poi ha portato i suoi frutti, tra doppiaggio e successi musicali come “Tanto pe’ cantà”. Di Nino Manfredi attore si sa tutto, grazie ai suoi oltre cento film, molti libri e documentari che sono stati scritti e girati su di lui e sulla sua arte. La Palma d’Oro a Cannes a “Per grazia ricevuta”, film del quale fu sceneggiatore, regista e interprete principale, ne ha certificato la grandezza artistica anche a livello internazionale, così come il grande amore che ancora oggi il suo ricordo suscita nel pubblico che lo ha conosciuto attraverso le sue interpretazioni.

Qui mi fa piacere raccontare un po’ di più dell’uomo, di mio nonno. Figlio di un Maresciallo di Polizia, Romeo, e di Antonia Perfili, figlia di emigrati di ritorno dagli Stati Uniti dove aveva vissuto fino ai suoi 16 anni coltivando il sogno di diventare ballerina, Nino trascorre la prima infanzia in Ciociaria, terra aspra e dura al sud del Lazio, spesso in compagnia di nonno Giovanni, padre di Antonia, con il quale scopre il rapporto con la natura, il rispetto del valore di ogni cosa, anche minima, una sensibilità che le condizioni economiche della vita contadina avevano sviluppato come caratteristica dell’economia di sussistenza nelle difficoltà dell’epoca.

Questo “rispetto” per le cose, che lo spingeva persino a portare a casa quanto avanzava nel cestino distribuito a pranzo sul set, veniva superficialmente scambiato per tirchieria ma, noi che lo conoscevamo bene, sapevamo quanto fosse generoso e capace di vivere di poco, sapendo apprezzare i vantaggi di una conquistata serenità economica allo stesso modo di come godeva di un’umile nespola colta dall’albero che orgogliosamente curava nel giardino di casa sua.

La domenica molto spesso riuniva tutta la famiglia intorno al suo tavolo per il pranzo e, mentre per noi tutti faceva preparare le migliori pietanze e manicaretti, lui era il primo – e spesso l’unico – ad avere nel piatto gli eventuali avanzi del giorno prima, perché lo spreco era davvero peccato mortale e a dare questo esempio a noi nipoti, generazioni future, voleva essere lui in prima persona. Posso affermare con orgoglio che, per quanto mi riguarda, è un insegnamento che porterò sempre con me.

L’origine contadina e ciociara è sempre stata da lui rivendicata come un patrimonio di saggezza e saperi a cui ha attinto nella sua formazione, un filtro culturale attraverso il quale decodificare il mondo e un riferimento forte per orientare scelte e decisioni.

Aveva nel giardino di casa sull’Aventino nel centro di Roma, un piccolo pollaio che accudiva con amore, nel quale spesso lo accompagnavo da piccolo a prelevare il suo “ovetto” fresco che consumava quasi sempre crudo, sul posto, succhiandolo da un buco che praticava sul guscio.

A 14 anni la famiglia si trasferì a Roma anche perché a Nino venne diagnosticata la tubercolosi bilaterale che, in tempi in cui non era ancora stata scoperta la penicillina, suonava come una sentenza di morte. Ricoverato nel Sanatorio Forlanini, vi trascorse quasi tre anni, contro ogni previsione medica e contro le statistiche dell’epoca che certificavano esiti infausti per la maggior parte dei pazienti entro poche settimane, al massimo pochi mesi.

Durante la sua permanenza al Forlanini, ricevette addirittura due estreme unzioni. Questa esperienza segnò nel profondo l’anima di Nino che si caricò di dolore, sofferenza e solitudine. L’incertezza sul futuro, gli amici che venivano a mancare da un giorno all’altro, la lontananza dalla famiglia che poteva visitarlo saltuariamente ma senza effusioni affettive – la tubercolosi era detta “la malattia del bacio” per via della sua trasmissibilità rapida e subdola – svilupparono in lui un forte attaccamento alla vita, un’inesauribile voglia di sperimentare il più possibile del mondo, così come una profonda crisi religiosa che, seppure mai intaccò la sua spiritualità di fondo, lo mise in una condizione di forte critica e dubbio rispetto all’educazione ricevuta ed alla visione del mondo consolatoria e quasi rassegnata di un certo cattolicesimo per semplici.

Uscito “miracolato” dal Sanatorio tornò in Ciociaria, per l’aria buona e per sottrarsi ai rastrellamenti nazifascisti che arruolavano tutti i giovani in grado di camminare e combattere, per poi tornare a Roma dopo la liberazione e iniziare a studiare Giurisprudenza per ottenere una Laurea che accontentasse i desideri del padre, con il quale aveva pattuito che se si fosse laureato, poi avrebbe potuto fare quel che voleva.

Nello stesso periodo, quindi, frequentò l’Accademia e ne uscì diplomato, fortemente motivato e molto preparato ad affrontare la professione artistica che aveva sempre desiderato, essendo comunque Dottore in Legge. Dopo i primi anni da girovago in varie compagnie, spesso accompagnato dall’amico e compagno di corso Tino Buazzelli, poi nella Compagnia di Vittorio Gassman, approdò infine nella Compagnia di Wanda Osiris ed una sera, in un incontro organizzato da un’amica, conobbe la donna della sua vita, mia nonna Erminia, una splendida indossatrice dell’atelier di Roberto Capucci. Da lei non si separerà più fino all’ultimo giorno.

Mio nonno Nino in un’intervista si definì “un uomo contraddittorio”, così come lo siamo tutti, con i nostri aspetti gradevoli e simpatici e con le nostre durezze, insicurezze e segreti. Disse anche di essere stato un uomo fedele alla sua arte e all’essere attore, per il resto non poteva garantire. Ciò non di meno condivise ogni giorno della sua vita con mia nonna che ha sempre avuto l’intelligenza e la fantasia per assecondare il carattere e gli umori di un artista come nonno, un uomo che ricordo dolce, amorevole, giocoso con noi nipoti ma a volte burbero quando non voleva lo disturbassimo con i nostri giochi e schiamazzi nelle ore che dedicava allo studio di un personaggio o di un copione per il suo prossimo film.

L’amore che i miei nonni si dimostravano l’uno per l’altra quotidianamente – e ancora oggi – è per me l’esempio migliore di un’armonia da desiderare e a cui ambire. Un professionista sul set e nella vita, armato di determinazione, tenacia e perseveranza, Nino diceva spesso che “tutto nasce dal dolore” a cui lui attingeva per creare i suoi personaggi senza mai dimenticare di arricchirli di umanità, simpatia e una disincantata ironia che li rendeva riconoscibili al pubblico, eliminando ogni distanza tra lo spettatore e l’interprete.

Ho visto molte volte mio nonno Nino attorniato da sconosciuti che lo trattavano come uno di famiglia, nessuno gli dava del lei, lo chiamavano per nome, erano tutti “intimi”, o tali si sentivano perché la sua umanità lo rendeva uno di loro, uno di noi. Per ragioni anagrafiche, non sono stato testimone della stagione della sua massima popolarità nel periodo in cui ha interpretato i grandi film che lo hanno reso uno dei “cinque cavalieri della Commedia all’Italiana”, un testimone imprescindibile per descrivere una parte della storia del nostro Paese, ho però conosciuto l’uomo degli ultimi anni, che spesso ci raccontava aneddoti della sua infanzia e della sua giovinezza, sentendo quella la parte di lascito che riteneva più significativa da trasmetterci come insegnamento di vita, conscio che della sua vita pubblica e della sua arte avremmo trovato facilmente resoconti e documentazione nelle cineteche e nei libri.

Nino è stato un interprete delle emozioni e dei sentimenti di un’Italia che cresceva, che aveva fiducia, che si interrogava sul proprio futuro senza commiserazione e con l’orgoglio di chi sa che ha la forza e la determinazione per diventare migliore, per emanciparsi dai limiti di una condizione di partenza svantaggiata, che crede nelle potenzialità della fantasia e della creatività per inventare una vita migliore. Per questo sono particolarmente emozionato nel vedere riconosciuta, in questa emissione del francobollo, la sua figura di artista e uomo di cultura che onora il suo impegno, il suo lavoro e la sua grandezza artistica. Per me rimarrà sempre il nonno con cui giocavo in altalena e che mi faceva assaggiare le nespole.

Simone Olivieri, il nipote.

Alida Valli, il francobollo

Alida Valli, il francobollo di Poste Italiane per il centenario

Alida Valli, il ricordo del nipote Pierpaolo De Mejo

Penso che la grandezza di Alida Valli stia nel fatto di non aver mai vissuto nel mito di sé stessa pur avendo alle spalle una carriera che non molti attori possono vantare, di essersi tenuta distante da tutto ciò che riguardava le passerelle, le copertine, il clamore, per dedicarsi pienamente ai suoi affetti e al suo lavoro.

Era una “purosangue”, come amava definirla Mario Soldati, una che non amava le imposizioni e le etichette di Diva o Antidiva. Una vita fortunata, ammetteva lei stessa, fatta di tanti successi (una carriera durata più di 70 anni, molti premi, 120 film all’attivo, tra cui grandi capolavori del Cinema italiano e internazionale) ma anche di episodi dolorosi che l’hanno segnata nel profondo.

Sono stati anche questi ultimi a renderla così intensa sulla pellicola, a regalarci quegli occhi azzurri malinconici che bucavano lo schermo. Con quegli occhi Alida, la “bea tosa” nata a Pola il 31 maggio 1921, arrivata giovanissima a Roma col sogno di fare l’attrice, ha fatto la storia del Cinema e del Teatro del XX secolo, divenendo la Musa di grandi registi come Visconti, Hitchcock, Reed, Antonioni, Soldati, Pasolini, Bava, Bertolucci, Chabrol, Vadim, Franju, von Trotta, Argento, Chéreau, Giordana, Bolognini, Patroni Griffi e molti altri. Dopo la sua scomparsa, avvenuta il 22 aprile 2006, insieme con mio papà Carlo, mio zio Larry (i due figli adorati che aveva avuto con mio nonno Oscar De Mejo) e mia mamma Maria Laura abbiamo deciso di donare al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma gran parte dell’archivio pubblico e privato che la riguardava.

È stato così istituito il Fondo Alida Valli, curato dalla Biblioteca Chiarini del CSC. Inoltre, nel 2020 il regista Mimmo Verdesca ha raccontato, per la prima volta, la vita di questa straordinaria donna e attrice nel film documentario “Alida”, selezionato al 73º Festival di Cannes. Ho partecipato anch’io a questo prezioso ritratto, un modo, nel mio piccolo, per farle sapere che la penso e che mi manca, e per dirle quanto il suo pubblico la ama e la ricorderà sempre.

Auguri nonna, per questi tuoi primi cento anni, auguri indimenticabile Alida Valli.

Pierpaolo De Mejo, il nipote

Giulietta Masina, il francobollo

Giulietta Masina, il francobollo di Poste Italiane per il centenario

Giulietta Masina, il ricordo della nipote Simonetta Tavanti

“GELSOMINA PER SEMPRE”. Il percorso di Giulietta Masina, piccola, minuta e solo apparentemente fragile, creatura nata per lo schermo, è scandito da apparizioni memorabili di cui Gelsomina è l’esempio più famoso. Ma andiamo con ordine.

Nasce a San Giorgio di Piano (Bologna) il 22 febbraio 1921, da un padre violinista e da una madre maestra. Giovane si trasferisce a Roma da una zia rimasta vedova e qui studia fino a laurearsi in lettere. Spesso torna a casa a trovare i genitori e i tre fratelli, Eugenia e i gemelli Mario e Maria.

A Roma conosce il suo futuro marito e pigmalione Federico Fellini. Inizia così il loro sodalizio di amore e lavoro (Federico in un’intervista disse “Non ricordo il primo incontro con Giulietta perché in realtà io sono nato il giorno in cui l’ho vista per la prima volta”). Uno completa l’altra.

Anche se spesso appariva lui in primo piano, a lei non è mai pesato. Ma si farebbe un torto alla Masina se si limitasse il suo talento alla bravura del regista. Giulietta sullo schermo era ed è un’apparizione magica che restituisce grazia e dolcezza al mondo: sotto i riflettori si trasforma, emana luce anche nei ruoli più duri dove è vittima di brutalità.

Il suo sorriso illumina lo schermo e mostra che un’altra possibilità esiste sempre, anche per i più sfortunati (finale de “Le Notti di Cabiria”). Questa grande umanità e amore per il prossimo che traspare dai film li aveva anche nella vita, sarebbe stata una mamma meravigliosa se non avesse avuto la sfortuna di perdere il suo unico figlio Pierfederico, pochi giorni dopo la nascita.

Nel 1957 il film “La Strada” vince l’Oscar come miglior film straniero. La sua Gelsomina diventa famosa nel mondo e lo diventa anche Giulietta. Gli inglesi la chiamano “Charlot al femminile“, Walt Disney la adora, Gelsomina diventa un cartoon. Ma la favola hollywoodiana non finisce qui, l’anno dopo arriva il secondo Oscar con “Le Notti di Cabiria“.

L’America la vuole ma lei non lascia Federico per nessun sogno di gloria oltreoceano. Ha lavorato anche con altri registi italiani e stranieri, ha girato sceneggiati per la televisione, poi l’ultimo lavoro con Federico “Ginger e Fred” dove ha anche dimostrato di saper ballare. Ora sono uniti per sempre con il loro bambino a Rimini.

Simonetta Tavanti, la nipote