Salva-Sallusti, “bavaglio” continua. Ordine dei giornalisti come manganello

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 22 Ottobre 2012 - 15:13| Aggiornato il 3 Marzo 2013 OLTRE 6 MESI FA
Il ddl Salva Sallusti modifica il reato di diffamazione a mezzo stampa: niente carcere ma pioggia di multe

ROMA – La legge “salva-Sallusti” eviterà il carcere al direttore del giornale ma affossa la libertà di stampa: alcuni nel Pd e Udc se ne sono accorti e si sfilano dal sostegno bipartisan del quale godeva il disegno di legge presentato in Commissione Giustizia al Senato. Ma anche nella sinistra rimangono ombre: la cosa più grave, sostenuta con altri dai senatori Alberto Maritati del Pd e Francesco Pardi dell’Idv, è il deferimento all’Ordine di chi viene condannato per diffamazione con la quasi automatica sospensione e anche radiazione. Nemmeno Mussolini era arrivato a tanto in modo tanto esplicito.

Oggi la commissione Giustizia del Senato torna a occuparsi del disegno di legge. Il clima è malsano per i giornali e i giornalisti. Al di là dell’impegno di alcuni senatori (Vincenzo Vita, Luigi Zanda, Gerardo D’Ambrosio, Luigi Vimercati, tutti del Pd) c’è aria da regolamento di conti con la libera stampa.

Il disegno di legge all’esame del Senato, con il pretesto di cambiare le norme sulla diffamazione a mezzo stampa eliminando il carcere dalle pene previste, vuole allo stesso tempo inasprire le multe a giornalisti ed editori in un modo così aspro da configurare un bavaglio preventivo per la stampa italiana. Di fatto la “salva-Sallusti” è una “legge-bavaglio”, come Blitzquotidiano denuncia da settimane. Alcuni se ne sono accorti, anche se lo fanno parlando di “emendamento anti-Gabanelli” o “ammazza-blog”: è l’impianto intero della legge (testo integrale in Pdf) che ammazza la libertà di stampa, non una singola norma.

La cosa peggiore però è il deferimento all’Ordine: se ci possono essere giornalisti che diffamano il prossimo per scelta e in malafede, la maggior parte delle querele e delle cause civili nasce da errori o da interpretazioni più o meno opinabili di fatti e espressioni verbali. Chiedere per legge la sospensione e anche la radiazione dall’Ordine, costringendo potenzialmente migliaia di professionisti a cambiare lavoro a metà della vita è una minaccia più efficace dell’ergastolo ed è ancor più odiosa quando viene da una categoria come i parlamentari le cui malefatte e i cui privilegi emergono giorno dopo giorno insieme con la loro immunità.

La partita è aperta e anche dopo il voto del Senato non ancora conclusa, perché poi il disegno di legge dovrà passare alla Camera. Alla Camera peraltro giova ricordare che la versione originale della legge sulle intercettazioni, detta anche bavaglio, venne approvata con rumorosa esultanza da tutti i partiti, anche se poi finì nel conto esclusivo di Berlusconi.

Ma se la cosiddetta legge bavaglio era una legge mirante a regolare e restringere l’uso delle intercettazioni telefoniche fuori delle aule giudiziarie, la Salva Sallusti non è un bavaglio, ma un bavaglione, che completa, grazie a un uso dell’Ordine dei giornalisti in senso repressivo, un disegno concepito, nel lontano 1925, da Benito Mussolini.

Ora sembra che qualcuno nel Pd e nella Udc abbia drizzato le antenne, la campagna elettorale non è lontana e firmare una legge che ti inimica tutti i giornalisti, per quanto odiati e disprezzati e anche asserviti alle logiche di schieramento, non conviene. In più, Pd e Udc non hanno nessun “debito” con Sallusti.

Il risultato è che Vannino Chiti, che insieme a Maurizio Gasparri è firmatario del disegno di legge, si dice pronto a ritirare la sua firma: “Se verrà fuori un pasticcio sono pronto a togliere la mia firma”. Chiti attribuisce la colpa del “pasticcio” a dei cambiamenti in commissione giustizia, dovuti alla forte maggioranza di centrodestra. “Si rischia di fare una legge puramente sanzionatoria. Se è così meglio fermarsi, limitarsi a eliminare il carcere, e lasciare che sia un Parlamento più sereno a occuparsi del resto”.

Chiti si dice pronto a “passare la palla”, o meglio la patata bollente, al governo, se dalle Camere non dovesse venir fuori una legge punitiva per la stampa:

“Da decenni si discute di togliere il carcere ai giornalisti: va tolto il carcere per la diffamazione a mezzo stampa e devono essere tutelati i cittadini colpiti da diffamazione, rafforzando l’obbligo di rettifica entro pochi giorni, nella stessa collocazione e nello stesso spazio del quotidiano. Ma se si aggiungono sanzioni elevate e se si tira in ballo la responsabilità dell’editore, mi dispiace ma non è questa l’intenzione della legge. Se dovesse venir fuori una legge del genere, non mi ci ritroverei. La commissione si riunisce domani mattina, spero che si possa tornare su un’impostazione corretta altrimenti c’è la via del governo, un decreto legge. Mi dispiace dirlo ma se il Parlamento non ce la fa è l’unica soluzione”.

A ruota l’Udc con Roberto Rao, che tra l’altro è giornalista: “Dobbiamo scongiurare che le norme sulla diffamazione a mezzo stampa riguardino tutti i blog. Quanto all’aumento delle pene, la diffamazione dev’essere duramente sanzionata, ma questa legge non può essere un cavallo di Troia per fare norme intimidatorie contro i giornalisti”.

A loro ha risposto Maurizio Gasparri, capogruppo dei senatori Pdl, cofirmatario del disegno di legge. Gasparri vuole salvare Sallusti e punta a un accordo con gli altri partiti, anche a costo di rinunciare ai punti più contestati del testo in discussione al Senato:

“Ho presentato con Chiti una proposta di legge sulla diffamazione per favorire una tempestiva decisione che sostituisca con altri tipi di sanzione quella carceraria, che va abolita. La commissione Giustizia ha il delicato compito di varare un testo definitivo, che ovviamente può apportare modifiche anche significative al documento proposto. Ma puntando a due obiettivi: eliminare la possibilità di detenzione, assicurare rettifiche e sanzioni nei casi di diffamazione. Non si può passare dal rischio di arresto al diritto di diffamare. Auspico una rapida e saggia sintesi in sede di commissione domani. Sono certo che si eviteranno forzature e che si valuteranno con saggezza gli emendamenti che non possono essere descritti come decisioni prese prima di votazioni che potrebbero essere anche di bocciatura”.

La salva-Sallusti era stata rimessa al centro del dibattito da un’intervista di Repubblica all’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky:

Neppure il fascismo aveva previsto una disciplina del genere. Il codice penale prevede lo schermo del direttore responsabile e tutto, da allora, è riconducibile a quella figura. Nel momento in cui però si estende la responsabilità all’editore, allora il sistema di garanzie e di diritti, il delicato equilibrio che è alla base del diritto di informare e di essere informati rischia di essere compromesso”. 

“La pena detentiva è prevista dalla legge penale e il problema dell’adeguatezza della pena è annoso, non nuovo. Va detto, però, che nel caso dell’articolo in questione non si tratta di opinioni, ma dell’attribuzione di fatti determinati risultati palesemente falsi. Il reato consiste nell’omessa vigilanza circa un fatto che non riguarda la libertà di opinione. Si può discutere se il carcere sia la misura più appropriata […] La mia risposta – precisa – è no. Il carcere non è adeguato. In questo, come in tanti altri casi, non è la misura opportuna”.

La chiamata in causa dell’editore. “Nel momento in cui si estende la responsabilità al proprietario dell’impresa editoriale è chiaro che questi farebbe di tutto per prevenirla e ciò gli darebbe il diritto d’intervenire nella gestione dell’impresa giornalistica, un’impresa molto particolare, nella quale la libertà della redazione deve essere preservata dall’intervento diretto della proprietà, cioè del potere economico”.