Jacques Villeneuve: “Vi racconto chi era mio padre Gilles”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 8 Maggio 2017 - 12:55 OLTRE 6 MESI FA
Jacques Villeneuve: "Vi racconto chi era mio padre Gilles"

Jacques Villeneuve: “Vi racconto chi era mio padre Gilles”

ROMA – Jacques Villeneuve, a 35 anni esatti dalla scomparsa del grande Gilles, morto in un incidente l’8 maggio 1982 sulla pista di Zolder, in Belgio, durante le prove del Gran Premio di Formula Uno, ricorda il padre in una intervista al Giorno.

“Avevo 11 anni. Ho pianto ininterrottamente per due settimane. Poi ho smesso. Mi sono detto: adesso basta lacrime, sono l’uomo di famiglia, avevo una mamma e una sorellina. E sono andato avanti a ciglio asciutto. Non mi sono confrontato mai con lui, io sono io. Mio padre è mio padre”.

“Chi mi stava attorno vedeva solo il cognome. Io, in una certa ottica, dovevo essere il figlio e basta. Era una forma di pressione insostenibile”, “non era bello sentirsi dire che ero lì, in pista con la Williams, per realizzare ciò che a mio padre era sfuggito, cioè diventare campione del mondo. Per reazione, scappavo” e da “giovane e mi chiedevo: perché nessuno valuta l’ipotesi che io faccia il pilota da Gran Premio perché ho la passione, a prescindere dal ruolo che mio padre ha avuto? Era come se volessero contrappormi a lui. Dovevo rivendicare la mia identità”.

Così nel 1997 è riuscito finalmente a dimostrare di essere Jacques, vincendo il mondiale con la Williams: “Ho battuto Schumacher e ho vinto il titolo. Michael aveva un po’ preso il posto di mio padre nel cuore dei ferraristi. È stato un momento struggente. Lì le cose sono cambiate, la gente piano piano ha accettato l’idea che non ero solo il rampollo di una dinastia”.

Soltanto una volta ha guidato la Rossa del padre, nel 2012: “Erano passati trent’anni esatti dalla disgrazia di Zolder. Mi telefonano Montezemolo e Domenicali, allora ai vertici della Ferrari. Mi fanno: Jacques, qui è pronta la vettura di tuo padre, ti piacerebbe farci un giro in pista a Fiorano? Mi sono commosso. Sono andato. C’erano ad accogliermi i meccanici di papà, me li ricordavo ancora, avevano facce meravigliose, invecchiati e però sempre uguali. Mi sono calato nell’abitacolo e ho pensato: oh papà, sono qua, nel tuo posto, con quello che era il massimo della tecnologia al tuo tempo. Sono qua, papà, e un cerchio si chiude. È stato bellissimo, come la fine di un percorso”.