Renault-Fca, le nozze che avrebbero potuto cambiare il mondo dell’auto

di Caterina Galloni
Pubblicato il 6 Giugno 2019 - 06:00 OLTRE 6 MESI FA
Renautl-Fca, come cambierà il mondo dell'auto con una fusione

Renault-Fca, nozze che possono cambiare il mondo dell’auto: non sarà una strada in discesa

ROMA – Fiat-Chrysler-Renault, un matrimonio che avrebbe potuto cambiare il mondo dell’auto a livello planetario. Ma che è saltato a sorpresa. Non sarebbe stata però una strada in discesa, anche se il cda della Renault aveva dato l’ok ad andare avanti e John Elkann, capo del clan Agnelli, ha dimostrato intelligenza, abilità, duttilità e capacità diplomatiche degne di un Talleyrand. 

Un lungo articolo del New York Times, scritto a più mani da una squadra di giornalisti, analizza come “Fiat+Renault può governare il mondo. O fare flop”. Negli USA, Fca con i suoi marchi Jeep e Ram ha una solida posizione ma è mancato il denaro per commercializzare correttamente SUV e pick-up in nuovi e promettenti mercati come il Medio Oriente e l’Africa, afferma Michelle Krebs, analista principale di AutoTrader. 

Da quando Fiat e Chrysler si sono fuse nel 2014, in Europa la Jeep ha già dimostrato il suo potenziale: le vendite nell’UE lo scorso anno sono aumenta del 37%, ovvero di 12.200 veicoli. Con l’aiuto di Renault, Jeep avrebbe potuto spingere verso più mercati esteri. Alla Renault manca un ampio portfolio di S.U.V.s, uno dei comparti più redditizi e in più rapida crescita del settore, che potrebbe fornire Jeep. Renault è inoltre completamente assente dalla fascia alta del mercato, un’altra macchina di redditività, mentre Fca ha Alfa Romeo e Maserati, sebbene negli ultimi tempi nessuno dei due marchi si sia distinto.

Lo scorso anno le vendite di Maserati sono diminuite del 20% mentre quelle di Alfa Romeo sono aumentate del 10%, ovvero 120.000 auto, ma è solo una piccola parte del mercato dominato da BMW, Mercedes Benz e Audi. Fiat Chrysler, la quarta più grande casa automobilistica, offre a Renault, che ha sede in Francia, una testa di ponte americana. Negli USA, le eleganti utilitarie di Renault sarebbero difficili da vendere: i conducenti sono affamati di S.U.V. ma potrebbe esserci una nicchia per i modelli elettrici come ad esempio l’utilitaria Renault ZOE. 

In cambio, l’azienda francese può fornire delle auto elettriche di cui la Fiat ha bisogno per rispettare le quote nell’Unione europea ed evitare sanzioni. La Fiat ha inoltre disperatamente bisogno di nuovi modelli di ogni tipo in Europa, dove dipende fortemente dall’invecchiamento della Fiat 500. 

Renault e Nissan, partner da vent’anni, a cui hanno aggiunto Mitsubishi nel 2016, nella vendita mondiale di auto sono alla stessa portata di Volkswagen e Toyota. Se Jean-Dominique Senard, presidente della Renault, fosse riuscito a tenere unita l’alleanza durante la fusione (poi saltata) con Fiat Chrysler, l’entità risultante dall’aggregazione dominerebbe il pianeta.  

Ma c’è anche uno scenario meno roseo. Il che porta a capire perché la fusione potrebbe non essere una buona idea. Da novembre, dopo che le autorità giapponesi hanno arrestato Carlos Ghosn, il presidente di Renault-Nissan-Mitsubishi, con l’accusa di illeciti finanziari che ha respinto, i rapporti tra Renault e Nissan sono spinosi.

Da allora Hiroto Saikawa, amministratore delegato di Nissan, si è agitato per ottenere maggiore autonomia dalla Renault. Ha reagito con cautela alla fusione proposta con Fiat Chrysler, che ha appreso pochi giorni prima che fosse annunciata. Saikawa ha affermato che la fusione potrebbe essere utile ma aveva bisogno di “esaminarla attentamente dalla prospettiva di Nissan”, ha riferito il quotidiano economico Nikkei.

Nissan potrebbe essere costretta a mandar giù il risentimento e cooperare con Fiat Chrysler e Renault. Le vendite e il profitto di Nissan sono in calo e la società sta lottando per rinnovare l’attività negli Stati Uniti, il suo mercato più grande. 

Se la partnership con Renault venisse annullata, per Nissan le difficoltà sarebbero a spirale. Nonostante l’attrito, le aziende risparmiano miliardi producendo automobili nelle stesse fabbriche e utilizzando in comune motori, trasmissioni e altri componenti. L’ultima cosa di cui Nissan ha bisogno è di decifrare la relazione mentre le vendite complessive di automobili sono in calo in tutti i principali mercati.

La storia del settore automobilistico è piena di alleanze fallite. Nessuna società lo sa meglio di Chrysler, il cui collegamento a Daimler dal 1998 al 2007 è stato un fallimento storico. Ma una fusione ha funzionato abbastanza bene: Fca. Nel 2018, le vendite negli Stati Uniti sono aumentate del 9%, in gran parte perché si concentrava su veicoli sportivi e autocarri. All’inizio di questa settimana Fca ha annunciato che la fusione con la Renault permetterebbe di risparmiare 5 miliardi di euro, o 5,6 miliardi di dollari, dall’acquisto di prodotti e componenti nonché dalla condivisione dei costi di sviluppo di nuovi prodotti. 

Qui c’è il trucco. Da una integrazione delle componenti e quindi degli acquisiti, per ottenere sinergie e economie di scala, può non derivare, almeno nel breve, impatto negativo sugli stabilimenti in cui le automobili vengono assemblate. La ripercussione sarà a monte della catena produttiva, nelle aziende dell’indotto, nella componentistica, come dicono nel gergo dell’auto.

Tante fabbriche e fabbrichette meno in vista, meno esposte al clamore sindacale e giornalistico e anche meno attraenti per i politici. Così è stato negli ultimi anni in Italia, dove le non ristrutturazioni in Germania e Francia si sono ripercosse sulle aziende della componentistica in Italia. La fusione “ha senso a livello strategico e potrebbe creare una notevole quantità di sinergie”, hanno detto gli analisti di Moody’s in una nota aggiungendo che “tuttavia consideriamo anche i notevoli rischi di attuazione di questa rilevantissima operazione”.