Quando l’Fbi di Hoover e l’Mi5 incastrarono i Rolling Stones con la trappola Lsd

di Warsamè Dini Casali
Pubblicato il 2 Ottobre 2012 - 12:01 OLTRE 6 MESI FA
Mick Jagger e Marianne Faithfull alla fine degli anni ’60

ROMA – Resistettero anche all’Fbi di Hoover e all’Mi5 al servizio di Sua Maestà la Regina i pericolosi Rolling Stones. Nel ’67, non solo erano ragazzacci da non presentare in  famiglia ( a differenza dei Beatles) ma costituivano, addirittura, per il demoniaco ascendente esercitato sui giovani, una minaccia alla sicurezza nazionale. E, il famosissimo episodio di Mick Jagger e la sua ragazza di allora Marianne Faithfull sorpresi mezzi nudi mentre giocano lascivi con un Mars birichino a Redlands, la tana da miliardario di Keith Richards, assume tutto un altro significato. Una patetica messa in scena per coprire il parziale fallimento della operazione in grande stile che doveva dimostrare l’uso smodato di droghe del gruppo e la necessità conseguente di negare loro il visto di ingresso negli Stati Uniti.

La verità è saltata fuori grazie all’autore di un’ennesima biografia di Mick Jagger, Philip Norman. A una cena a Los Angeles ha raccolto la confidenza di una agente cinematografica che riferiva la testimonianza di David Jove, un produttore, che in un’altra vita, alla fine degli anni ’60, era uno spacciatore specializzato in Lsd. David Snyderman si chiamava, ma gli estimatori lisergici lo conoscevano come Acid King. Dunque, il re dell’acido viene arrestato in aeroporto a Heathrow con la roba. Per uscirne pulito gli viene proposto un patto: consegnaci i Rolling Stones e la fai franca. Detto fatto. Nel febbraio del ’67 ha stabilito contatti con Keith Richards che sembra apprezzare particolarmente l’ultimo grido in fatto di acidi, il “Sunshine”.

L’articolo sul Times a difesa di Mick Jagger

Il doppio gioco di Snyderman conduce le guardie a West Wittering, nella dimora di campagna di Richards, Redlands appunto. Entrano in 18. Rovistano, spaccano, minacciano, ma a parte qualche spinello e poche amfetamine non trovano nulla. A favore dei giornalisti montano il caso della barretta Mars: chi appartiene al giro degli Stones è marcio, è il senso dello scandalo. Il visto nel frattempo viene negato, ma per poco. La “british invasion” dei ragazzacci rock inglesi (Stones, Animals, Kinks…), che insegnano ai bianchi d’America ad amare la musica nera, è irreversibile. Il contagio stoniano negli Usa riceverà maggior impulso dalla fama di maledetti cui contribuisce non poco l’operazione Redlands.

In Inghilterra, però, non tutti furono disposti a barattare le conquiste del liberalismo pur di vedere sotto chiave quei capelloni irriverenti. Fece epoca, l’editoriale del mitico William Rees-Mogg, giornalista di punta del conservatore ma non manettaro Times: “Who breaks a butterfly on a wheel?” si intitolava il pezzo. Citando Alexandre Pope (oggi potremmo dire sparare con il fucile a una zanzara) si chiedeva, retoricamente, quale fosse il reale pericolo rappresentato dagli Stones, se una società liberale dovesse abdicare ai suoi principi allo scopo di perseguire coloro che non rispondo a canoni morali ed estetici arbitrari. Il sofisticato gentleman si dimostrò il difensore più efficace degli Stones. E ben prima che venissero a galla le macchinazioni dei servizi, ispirati dalla paranoia, guidati dal pressapochismo.