Roma. Dopo 10 anni La Sapienza ‘premia’ Muti con una laurea honoris causa

Pubblicato il 24 Maggio 2012 - 22:30 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – ''Sarà felice mio padre, che era un medico. Ci teneva tanto ai titoli di studio e quando ero al conservatorio mi ripeteva: 'prenditi un pezzo di carta'''. Così, davanti ad un'Aula Magna con i ragazzi tutti in piedi a spellarsi le mani, Riccardo Muti ha concluso la sua prima 'lezione' a La Sapienza di Roma, ritirando dalle mani del rettore Luigi Frati quella laurea honoris causa che nel 2002 l'università nel pieno di una contestazione studentesca non riuscì a consegnargli.

E anche oggi 24 maggio, come quel giorno di dieci anni fa, Muti ha incantato e stupito ragazzi e ammiratori, non solo con la sapienza del direttore d'orchestra che tutto il mondo ci invidia, ma anche con l'estro del pianista e, a sorpresa, del cantante e dell'uomo ricco di battute. Oggetto della lezione, l'Attila di Verdi, uno dei titoli più legati alla sua carriera, che tornerà a dirigere all'Opera di Roma domani, con Ildar Abdrazakov, Nicola Alaimo, Tatiana Serjan e Giuseppe Gipali.

''Era da quando sono arrivato a Roma che pensavo a un incontro come questo – spiega il maestro – Li facevo anche a Milano, per parlare dell'opera che avrei diretto. Sarà un incontro informale, perché non sono un professore''. Poi per due ore filate racconta Verdi, lui che più di ogni altro al mondo lo ha amato e forse capito, e il suo Attila, canto dedicato all'Italia che stava rialzando la testa. ''Verdi – spiega – è il musicista che più rappresenta l'Italia, non solo per la sua lunga vita, ma perché visse in un periodo caldissimo. Rossini lo chiamava il 'musicista con l'elmo'''.

Seduto al grande pianoforte a coda s'immerge nello spartito e nelle storie, alterna gli aneddoti di cronaca (come quando la puzza delle torce a metà del secondo atto al debutto a Venezia nel 1846 fece scrivere sul Gazzettino che il flagello di dio era diventato il 'flagello del naso') alle citazioni di Abatantuono, restituendo Verdi a Verdi.

''Non è vero che approvava tutte le modifiche alla sua musica'', avverte, svelando le molte storpiature che fanno il pubblico 'fesso e contento'. ''Non si deve alterare ciò che è scritto, ma capire cosa c'è dentro le note'', dice mentre i tasti del piano raccontano l'ingresso del terrorifico Attila.

''Il direttore deve capire il fraseggio e la differenza tra un interprete e un altro è come arriva a certi punti, non come li elude. Purtroppo oggi è più importante ciò che si vede di ciò che si sente. Chi zompa sul palco è quello che raccoglie più consensi da un certo tipo di pubblico, che è meglio non considerare''. E poi, senza mai citarne il nome, lancia irresistibile stoccatine al regista che al Met di New York mise in scena il suo Attila, tra le piante tropical.

''La mia lettura di Attila è patriottica'', incalza arrivando con l'aiuto del tenore e del baritono Luca Dall'Amico e Stefano Antonucci al duetto tra Ezio e Attila, quando il primo prega il condottiero di prendersi il mondo ma di lasciare a lui l'Italia. ''Pensate all'effetto che fece davanti a una platea di soldati austriaci – immagina Muti – Stupida l'idea di chi lo interpreta come un baratto. Questa è la visione che io combatto''.

E poi ancora torna a duettare con il tenore, senza mai sfigurare, neanche quando intona la parte di Odabella. A fermarlo, sotto una pioggia di applausi, è solo il tempo a disposizione, scaduto prima ancora che si arrivi al terzo atto. Tornerà, promette, alla vigilia della prossima opera, il Simon Boccanegra che a novembre inaugurerà la stagione dell'Opera di Roma. Ma, aggiunge, ''faremo anche in modo che la lezione non finisca e che i ragazzi possano venire all'Opera, anche alle prove''.